«Il decreto legge 416/68 sull’“Indennità di rischio da radiazione per i tecnici di radiologia medica” e del 724/94 sul “Congedo ordinario aggiuntivo per i lavoratori esposti a rischio radiologico”, basati sul principio della monetizzazione del rischio, sono un’anomalia italiana. Non c’è traccia di norme simili nel resto d’Europa né in America o in Canada». A spiegare a tempi.it perché oggi sia giusto rivedere la legislazione è il dottor Raffaele La Tocca, direttore del reparto di medicina del lavoro presso l’Ospedale San Gerardo di Monza.
La normativa, precedente a quelle europee sulla riduzione del rischio, prevede un congedo di quindici giorni per la tutela dell’esposto: «Oggi i mezzi di protezione a nostra disposizione sono ottimi e riducono quasi a zero i rischi. Parlo degli occhiali e dei camici piombati, ad esempio. Dell’ottimizzazione dell’ambiente e dei mezzi a nostra disposizione».
Per Luca Belli, direttore dell’Unità Operativa dell’Istituto Clinico Città Studi di Milano, «il problema è di leggi, rimaste invariate da quasi cinquant’anni e per cui si monetizza il rischio, che non c’entrano nulla con le norme europee fondate sul principio opposto della riduzione del rischio», dice a tempi.it. «Rischio che si azzera – prosegue – solo lavorando sull’ottimizzazione dei protocolli lavorativi, cioè facendo prevenzione. È su questo che bisogna continuare ad investire».
«Il punto – continua La Tocca – è che oggi gli operatori di categoria A godono praticamente di entrambi i benefici: diciamo che se per il 90 per cento degli esposti di categoria B il rischio oggi è ormai pari a zero, per i lavoratori di categoria A i livelli sono quasi simili: sono quindici anni che lavoro qui e non ho mai visto una malattia professionale legata all’esposizione a radiazioni. Perciò credo che questo incentivo indiretto non abbia più senso e che, in un periodo di crisi, sia giusto lavorare per ridurre le spese in ogni ambito della sanità in cui sia possibile farlo. Oggi a tutti è chiesto un sacrificio, a maggior ragione se ragionevole come in questi casi in cui i lavoratori godono di privilegi che un tempo erano incentivi indiretti per categorie a rischio che oggi non lo sono più».
Si calcola che, per via dei quindici giorni di congedo per 37 mila medici e tecnici a livello nazionale (550.000 giornate di lavoro), sia necessario assumere 2500 persone in più, che in media costano ciascuna circa 60 mila euro l’anno. Significa che potrebbe esserci un risparmio di circa 150 milioni euro per il sistema sanitario nazionale, da aggiungere ai circa 4 milioni di euro di indennità di rischio radiologico monetizzato. «Questi riconoscimenti – prosegue Belli – hanno un impatto evidentemente dispendioso, ma finché non cambia la normativa non si può fare nulla. Negli anni si è provato più volte ad affrontare politicamente il tema, ma non se ne è mai arrivata a una anche per via delle resistenze sindacali».
I quindici giorni hanno ancora un qualche valore? «I quindici giorni servono al recupero biologico del corpo. Certo che se il rischio si abbatte, non hanno più senso. Ripeto: il problema è l’impianto normativo che non c’entra nulla con le nuove norme europee. Di questo si dovrebbe tornare a discutere».
Anche il personale medico anestesista dispone di un congedo di otto giorni come compenso per il rischio di esposizione ai gas anestetici (comma 7 dell’articolo 39 del CCNL 10 febbraio 2004 dispone). Che vanno a sommarsi a quelli di ferie ordinarie (dai 30 ai 36 giorni a seconda dell’anzianità di servizio). Il che significa, anche in questo caso, una maggiore spesa nell’assunzione di personale aggiuntivo per la copertura dei turni, cioè l’assunzione di ulteriori 363 anestesisti su tutto il territorio nazionale. Calcolando che ognuno di essi costerebbe alla collettività una media di 70 mila euro ciascuno, il costo per il sistema sanitario nazionale arriverebbe alla cifra di circa 25 milioni di euro.
Il dottor Giovanni Vitale, dirigente medico anestesista presso l’Ospedale San Gerardo di Monza, spiega a tempi.it: «Questa norma è stata ottenuta anni fa dai sindacati e poi successivamente è stata integrata». Si parla dei gas anestetici a cui gli anestesisti sono esposti. «Lavorando in sala operatoria si respirano piccole quote di gas anestetico. Ci sono delle tracce che però non fanno male e non hanno effetti sulla salute. Inoltre, non si capisce perché la norma valga solo per la nostra categoria e non per tutti quelli che stanno in sala operatoria. Se ci fosse un pericolo reale dovrebbero estendera a tutti. Ma non è così». La Tocca conclude dicendo che «anche le condizione di sicurezza delle sale operatorie sono ormai massime e i rischi praticamente azzerati. Ci sono impianti a ciclo chiuso, controlli che sono di solo monitoraggio e altri sistemi per rendere l’ambiente sicuro».