«Abbiamo iniziato parlando di Cristo, cercando di affrontare tutti i problemi a partire da un punto di vista cristiano, da quello che ci sembrava essere il punto di vista della parola di Cristo, autenticata dalla tradizione e dal magistero ecclesiastico; mettendoci insieme in vista di tale progetto». Con queste parole don Luigi Giussani tratteggiava nelle prime pagine del libro-intervista curato da Robi Ronza, pubblicato nel 1976 da Jaca Boook, i primi passi di Comunione e Liberazione. Un volume storico, non solo perché ripercorre la genesi di un percorso fondante per il cammino di molti cattolici, ma perché s’inserisce nella realtà dell’uomo e ne testimonia razionalmente l’originale anelito di emancipazione e liberazione. E perché, ancora oggi, le parole di Giussani appaiono l’unico grimaldello concretamente rivoluzionario in grado di scardinare la coltre acquietante della società moderna.
Può sembrare paradossale che un non credente, come il sottoscritto, possa oggi rimanere affascinato dalla ricerca di verità, eppure è la ragione stessa che conduce al riconoscimento di tale percorso. Giussani analizza la realtà di un paese che già dalla metà degli anni Cinquanta ha rischiato di perdere la coscienza di sé. Non fa sconti il professore del Berchet, né alle organizzazioni ecclesiali che protraevano il culto rischiando di cadere nel gesto senza valore educativo, né ai movimenti della contestazione i quali, prescindendo dall’uomo, assumevano come guida astratti valori aprioristici. Il pensiero che mosse Gioventù Studentesca (poi diventata Cl) fu la totale adesione alla sfida dell’esperienza. Pratica rischiosa, perché contenente la prova della verifica con la realtà. «Se diventando adulti, non volete alienarvi e diventare schiavi di coloro che hanno il potere, dovete abituarvi subito a paragonare alla vostra esperienza ogni cosa che io vi dirò, ma ogni cosa che anche gli altri vi diranno». Principio che diverrà la pietra miliare del metodo educativo. Apprendimento della tradizione che ci ha formati e, contemporaneamente, verifica sulla propria esistenza dell’ipotesi tradizionale. Una prassi metodologica nella quale Giussani individua nell’autorità il soggetto indispensabile per offrire un termine di paragone adeguato. Nulla si potrebbe individuare oggi di più democratico, aperto e quindi antiautoritario di codesto metodo. E basterebbe questo per dire che l’avventura di don Giussani ha in seno l’universale valore della ragione. Ragione che è ben lontana dal dubbio sistematico che la cultura laica ha preso come ideale propulsivo. «Quanto più è chiara la certezza di un comune destino favorevole e positivo, tanto più emerge l’interesse ad una pazienza rispettosa ed ammirata per tutti i cammini e per tutti i tentativi».
Dopo trent’anni dalla pubblicazione, leggere quest’intervista a don Giussani vuole dire prendere atto di un’esperienza umana, individuale e collettiva, che con la realtà ha voluto giocare a carte scoperte, rischiando in prima persona. Riconoscere che l’esperienza sviluppatasi attorno a quel manipolo di giovani aveva in nuce e si è eretta su un ideale che nel reale ha piantato le sue radici.
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
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