È passato un anno da quando oltre 120 mila cristiani sono stati costretti a rifugiarsi in Kurdistan, cacciati dalle loro case in Iraq, dopo che le loro terre e case sono state sequestrate dai jihadisti. Mosul e i villaggi della piana di Ninive sono finiti nelle mani dello Stato islamico un anno fa e ora l’arcivescovo siriaco-cattolico di Mosul chiede che quelle terre tornino nelle mani dei legittimi proprietari.
SERVE SOLUZIONE MILITARE. Parlando ad Aid to the Church in Need, monsignor Yohanna Mouche ha chiesto «alle persone che ne hanno la responsabilità» di intervenire, ricordando che quella «militare è la soluzione migliore»: «Chiediamo a tutti di fare pressione sulle persone che hanno la responsabilità di liberare città e villaggi il prima possibile, così che la gente possa tornare indietro e vivere in pace nelle proprie case e continuare là la propria vita».
L’UNICA ALTERNATIVA. Secondo l’arcivescovo c’è una sola alternativa all’intervento dell’esercito: «Faccio un appello alla comunità internazionale: se non potete proteggerci, allora dovete aprire le vostre porte e aiutarci a ricominciare la nostra vita da qualche altra parte». Poi ha aggiunto: «Noi preferiremmo rimanere in Iraq ed essere protetti qui», ma perché questo sia possibile qualcuno deve intervenire.
«È UN INCUBO». Anche Yohanna Mouche è stato cacciato dalla sua diocesi. Descrive così i suoi sentimenti: «Mi sento come se stessi sognando, come se fossi ubriaco. Non riesco a capire che cosa sta succedendo intorno a me. È un incubo». Sulla chiesa di Sant’Efrem, che i terroristi dell’Isis a Mosul avrebbero trasformato in moschea, riferisce infine: «Non abbiamo novità sulle nostre chiese e i nostri monasteri», tra cui quello di San Behnam, che risale al IV secolo. «Purtroppo nessuno è rimasto a Mosul per darci notizie su queste cose».
Foto Acn