È un paese strano l’Italia. Nella stessa città, la Capitale, succede infatti che, mentre la Fondazione Roma decide di destinare gratuitamente 75 mila euro al Liceo statale Newton per ristrutturare due aule tecniche in cambio della sola affissione di una targhetta con scritto sopra il nome del donatore, con evidente beneficio per gli studenti (che altrimenti quelle aule non le avrebbero mai avute a disposizione) e per la scuola (che si assicura un notevole risparmio su una spesa che probabilmente nemmeno si sarebbe potuta permettere), in un altro istituto l’intervento di un sindacalista esterno alla struttura blocca un analogo progetto in virtù del quale, sempre grazie ai denari di un privato, l’aula tecnica avrebbe potuto essere nuovamente valorizzata. Non sia mai, denuncia il sindacalista: così «si privatizza la scuola pubblica».
«Balle ideologiche», «sospetti infondati», replica a tempi.it Mario Rusconi, vicepresidente dell’Associazione nazionale dirigenti e alte professionalità della scuola (Anp), organismo che sul proprio sito internet si presenta come «il punto di riferimento più autorevole per l’analisi e la proposta in materia di autonomia scolastica». «Balle» che però, purtroppo, non restano prive di nefaste conseguenze per il sistema dell’istruzione scolastica italiano. Se è vero, infatti, che «di ostacoli burocratici a donazioni di questo tipo da noi non ce ne sono», di resistenze ideologiche, invece, ce n’è ancora troppe.
Rusconi, cosa sarebbe in grado di portare uno sponsor privato nella scuola statale?
Risorse, che sono proprio ciò che manca alla scuola statale oggi. Gli enti locali, infatti, non hanno più disponibilità economica sufficiente per garantire tutti quegli interventi che pure sono necessari, come per esempio l’installazione di maniglioni antipanico, l’efficientamento energetico, l’adeguazione alle normative antincendio oppure la bonifica dall’amianto. E non è certo un caso se, a distanza di 15 anni, secondo le stime più attendibili, occorre ancora la stessa cifra per ristrutturare gli edifici scolastici italiani, ossia un ammontare complessivo compreso tra i 5 e i 7 miliardi di euro.
Come si è arrivati a questa situazione?
La spending review ha imposto sacrifici durissimi agli enti locali che hanno in gestione le scuole statali, ma a questo occorre sommare anche gli enormi sprechi di soldi pubblici, dalla sagra del cinghiale o della castagna fino ai vitalizi per i giovani consiglieri regionali. Da investire nella scuola, insomma, allo Stato non è rimasto più nulla.
Come uscire da questo cul-de-sac?
L’incitazione al mecenatismo e l’invito alle imprese private a destinare risorse alla scuola pubblica sul modello anglosassone, per esempio, rappresentano sicuramente una possibile via d’uscita da questa situazione. Ma perché questa strada possa essere percorsa occorre innanzitutto convincere le aziende che investire nella scuola conviene.
Sì ma chi lo spiega a certi sindacalisti?
Occorre sfatare il mito ideologico secondo cui la donazione di un privato alla scuola pubblica rappresenta una sorta di privatizzazione della scuola. Non è così e mai lo sarà, anche perché investire nella scuola non avrà mai un ritorno in termini economici per l’azienda.
La convenienza per i privati, allora, dove sta?
Sta nel fatto che così permettiamo ai nostri figli di ultimare il loro percorso di studi al meglio, fino ad arrivare a una qualifica professionale oppure all’università; un percorso che, senza le scuole elementari, medie e superiori, non sarebbe mai possibile compiere. Un privato, inoltre, che interviene destinando delle risorse per ristrutturare una scuola statale, oppure per dotare l’istituto di aule tecniche e computer, contribuisce a innalzare la qualità dell’istruzione, coerentemente alla richiesta che proviene dal mercato di diplomati e laureati che siano altamente qualificati e subito pronti a lavorare.
Altrimenti?
Altrimenti in Italia continueranno a coesistere forzatamente scuole pubbliche altamente qualificate e dotate di tutti i migliori strumenti e servizi, semplicemente perché magari si trovano in regioni a statuto autonomo come il Trentino Alto Adige, e istituti dove, invece, i servizi per gli alunni sono inesistenti o fatiscenti, a volte privi della benché minima strumentazione necessaria.