Mio caro Malacoda, volevo affidarti un nuovo caso di cui mi è giunta segnalazione. Non voglio farti perdere tempo e spendere inutilmente parole mie: ti allego il testo di una e-mail intercettata in internet, inviata a più indirizzi, sai quelle chat dove sconosciuti parlano tra loro di tutto un po’. Credo sarà esauriente e perspicuo: «Trentenne, concepita in vitro tramite inseminazione artificiale eterologa su commissione di coppia di lesbiche. Donatore di sperma e donatrice di ovulo sconosciuti. Gestazione avvenuta in utero in affitto di donna che ha voluto conservare l’anonimato. Allevata in coppia di fatto, che ha poi usufruito del cambiamento della legislazione per convolare a nozze, ma praticante della famiglia aperta: la progenitrice A aveva due amanti che vivevano in casa con noi, la progenitrice B una, che mi facevano chiamare “zia” e con la quale trascorreva il fine settimana. Dopo cinque anni la progenitrice A ha chiesto il divorzio, la progenitrice B non glielo ha concesso e sono finite in tribunale, io nel periodo del processo vivevo con la “zia”. Alla fine sono stata affidata alla progenitrice A che nel frattempo aveva avuto un radicale cambiamento di vita, si era convertita all’islam e si era sposata con un uomo che aveva già altre tre mogli. Sotto l’aspetto della presenza femminile in casa per me non era cambiato molto, solo che queste le dovevo chiamare “mamme” e l’uomo “papà”. All’età di quattordici anni papà mi ha promesso in sposa a suo fratello. Sono scappata in Spagna dove conoscevo degli amici della mia progenitrice B. Una coppia di omosessuali, Paco e Roberto, che mi hanno accolta volentieri. Ho scoperto a mie spese che Paco era bisessuale. Quando facevamo l’amore lui metteva il preservativo, ma io avevo il piercing. Vedevo la pancia crescere e non sapevo cosa volesse dire, ho iniziato a fare diete massacranti, Paco mi ha dato un pillola (“Ti farà passare tutto”) che non è servita a niente, mi faceva solo avere delle grosse emorragie. Allora mi hanno portato in un ospedale dove mi hanno spiegato che ero incinta ma che ormai dovevo abortire. Le mie progenitrici mi avevano parlato di provette, medici, affitto, consegna. io non sapevo che il sesso c’entra coi bambini. Non sapevo neanche che c’entra con l’Aids, me l’ha detto un altro medico anni dopo che avevo lasciato la casa di Paco e Roberto. Ormai con i medici ho consuetudine, mi sono presa quello che chiamano esaurimento nervoso, un giorno parlando con uno psichiatra gli ho detto che per me vivere non aveva più senso, se mai ne aveva avuto uno, e lui mi ha dato un indirizzo di un suo collega: “Se lei proprio lo desidera, questo può risolverle ogni problema, anche a domicilio” e mi ha spiegato che io, pur non avendo avuto una buona vita potevo però scegliere di avere una buona morte. L’ha chiamata “eutanasia”. Io da quel medico non ci voglio andare, so che non c’è niente di male, e in certi momenti la proposta mi attrae, ma c’è qualcosa che mi trattiene. Lo psichiatra, dal quale ho smesso di andare, l’ultima volta mi ha detto che è paura, una cosa assolutamente irrazionale. Io invece sento che una ragione c’è».
Caro Malacoda, il tuo collega è venuto meno proprio sul traguardo, affido il caso a te. Sbrigati prima che incontri qualcuno che le vuole bene.
Tuo affezionatissimo zio Berlicche
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
Codice ISSN
online 2499-4308 | cartaceo 2037-1241
Direttore responsabile
Emanuele Boffi