Partiremo per le vacanze dotati di una buona dose di raccomandazioni buoniste. Il primo comandamento dell’estate occidentale è: «Non abbandonate i cani in autostrada!» Ma i cristiani si possono abbandonare al loro destino. Il secondo recita: «Non gettate mozziconi e non accendete falò nei boschi!» Ma le chiese continuano a bruciare in Bangladesh, in India, in Malesia. Tra le proibizioni del decalogo laico, ve ne sono alcune altre particolarmente odiose. Come quella che nel mondo anglosassone impone una regola ignobile nelle redazioni giornalistiche. Una volta c’era quella delle quattro W – who, where, when, what – che ora è stata sostituita da “Abc”, cioè «Anything but Christianity», ovvero «Tutto fuorché il cristianesimo». Una censura preventiva, che a volte si trasforma in autocensura. Del resto, la stampa utilizza ampiamente anche il “rapporto morto-chilometro”, il più cinico dei filtri per passare le notizie. Se c’è una guerra religiosa che da vent’anni insanguina il Sudan, causando decine di migliaia di morti, non vi si trova nulla di nuovo né di entusiasmante. Quindi non si pubblica nulla al riguardo, pensando che al pubblico non interessi. E invece il pubblico non è fatto di persone insensibili. Altrimenti non avrebbe senso ammannirli, sulle terze pagine, di “leggende nere” sul Medioevo e l’Inquisizione che sono, oltre che false, lontane nel tempo.
Il dossier Acs
Si dirà che vi sono numerosi organismi internazionali che denunciano le violazioni dei diritti umani e della condizione dei rifugiati, ma anche questi, che spesso si occupano di fame nel mondo, sono più intenti a diffondere metodi contraccettivi che a mettere sull’avviso i governi che perseguitano le minoranze religiose.
E siccome non esisteva ancora da parte cattolica uno strumento che aiutasse a monitorare gli ostacoli all’evangelizzazione, Aiuto alla Chiesa che Soffre ha pensato di dover colmare un vuoto. Si trattava di mettere in pratica quanto il Papa aveva più volte sottolineato, e cioè che «fra le libertà fondamentali che spetta alla Chiesa difendere, al primo posto si trova, in modo del tutto naturale, la libertà religiosa. Il diritto alla libertà di religione è così strettamente legato agli altri diritti fondamentali, che si può sostenere a giusto titolo che il rispetto della libertà religiosa sia come un “test” per l’osservanza degli altri diritti fondamentali». Queste parole Giovanni Paolo II le aveva dette davanti al Corpo Diplomatico già all’inizio del 1989. Nove anni dopo, nel 1998, con «La libertà religiosa nei Paesi a maggioranza islamica», è iniziato il lavoro proseguito poi con le tre edizioni del «Rapporto sulla libertà religiosa nel mondo», che ha preso in esame tutto il pianeta.
Del resto, tra le attività di Acs, l’informazione era soltanto una parte. E lo è ancora oggi. Parlano da soli i dati relativi all’assistenza prestata nel 2001 alle comunità cattoliche, ma anche cristiane ortodosse: 22 milioni 266.824 euro di aiuti ai Paesi europei, 12 milioni 889.382 all’America Latina, 11 milioni 145.366 all’Asia, 10 milioni e 267.234 euro all’Africa, e 191.018 in Oceania. E proprio per informare i benefattori di quali e quanti siano i problemi di chi vive e opera in terra di missione, si è impostato un lavoro giornalistico con l’unico obiettivo di dire la verità. Quindi senza “filtri” o censure di sorta nei confronti di alcuno. Parlando anche delle discriminazioni che colpiscono comunità religiose non cattoliche, persino Scientology e i testimoni di Geova o i movimenti religiosi più sconosciuti e “antipatici”.
Persecuzioni in stile (amministrativo)
Così, abbiamo scovato, anche in Occidente, sorprese sgradite. Come quella francese. Il 30 maggio 2001, il Parlamento della République ha promulgato una legge mirata allo scioglimento delle “sette”, introducendo, anche se in modo surrettizio e implicito, il reato di “manipolazione mentale”. Si tratta di una sorta di plagio, il cui accertamento è lasciato alla discrezione dei giudici e degli organi di polizia e che mette a rischio la sopravvivenza dei gruppi sgraditi al governo. Scegliendo questa linea, sono emersi così anche altri Paesi che, nella mappa allegata al Rapporto, sono colorati con il grigio, che identifica la “persecuzione amministrativa”. Una tendenza, questa, che si afferma in molti altri Paesi, soprattutto quelli ex comunisti nell’Est europeo, in Russia e nelle Repubbliche del Caucaso, e che in diversi casi trova spunto proprio dalla recente legislazione francese. Non a caso, se da un lato il provvedimento ha suscitato le proteste degli Stati Uniti, dall’altro ha incontrato l’approvazione entusiastica della Repubblica popolare cinese, che vi ha trovato una sorta di giustificazione del proprio operato contro il movimento Falun Gong, definito dal Partito comunista una “setta malvagia”, i cui membri sono di norma rinchiusi in ospedali psichiatrici e frequentemente condannati a morte.
Paesi islamici. I “non musulmani” cittadini di serie B
Non deve stupire se è in questi termini che si allacciano nuove relazioni tra l’Occidente che si vanta di essere la patria delle libertà e l’Oriente, dove alle “storiche” repressioni violente nelle aree “rosse”, la Cina, il Vietnam, la Corea del Nord, il Laos, si legge nel Rapporto «si aggiunge la discriminazione attuata dalla maggior parte dei Paesi islamici nei confronti dei non musulmani, posti quasi ovunque in una condizione di inferiorità sociale». In quest’ultimo caso, gli episodi riportati sono numerosi. Si va dalla proibizione di seppellire le salme degli “infedeli” nel territorio dell’Arabia Saudita per evitare atti sacrileghi, cioè preghiere non islamiche. Ma nello stesso Regno, così come ovunque nei Paesi in cui vige la shari’a, riconoscibili dal colore verde, si può essere incarcerati per aver svolto propaganda religiosa e andare al patibolo semplicemente perché si è scelto di abbandonare l’islam. E questo accade anche in Africa, dove la legge coranica sta prendendo piede in Paesi popolosi come la Nigeria e provoca morti a ripetizione.
In effetti, il nodo della conversione a una religione diversa da quella di origine sembra emergere nel volume di Aiuto alla Chiesa che Soffre come un vero e proprio spartiacque tra i luoghi dove è possibile la convivenza pacifica tra comunità religiose diverse.
Novità: anche il Dalai Lama predica l’intolleranza
La maggiore “novità” di quest’anno, pur se sgradevole, sembra infatti provenire dall’India, dove si registra, un pericolo crescente costituito dall’estremismo indù, causa di numerosi episodi cruenti a danno delle minoranze religiose. In questo processo va a inserirsi anche una figura universalmente considerata una vittima della persecuzione antireligiosa cinese, cioè il Dalai Lama, suprema autorità del buddhismo zen. Ebbene, proprio lui durante un festival indù il 25 gennaio scorso si è abbandonato a critiche contro i missionari, firmando anche insieme ai fiancheggiatori delle milizie indù, ha sottoscritto una dichiarazione in cui si chiede «la proibizione delle conversioni religiose», che è definita «un’implicita sconfessione dell’articolo 18 della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo del 1948». E infatti, anche negli Stati a maggioranza buddhista, come Bhutan e Sri Lanka, colorati in giallo nella cartina, l’attività delle religioni “straniere” conosce numerosi ostacoli di tipo politico burocratico e legislativo. Varrà quindi la pena di limitare le libertà degli indù, dei buddhisti e dei musulmani in Occidente, per ritorsione contro quanto accade in altri Paesi? No, a meno che non ci siano minacce per la sicurezza e l’ordine pubblico. Ma non perché ci si atteggia ambiguamente a “buonisti” come il Dalai Lama. La ragione per cui va esercitata la tolleranza viene esclusivamente dalla sopportazione della Croce da parte di Gesù Cristo. E finché ci sarà qualche Cireneo disposto ad aiutarlo sacrificando se stesso, c’è speranza.
Morigi Andrea