
La preghiera del mattino
La violenza di Putin apre crepe anche nell’establishment russo

Su Affaritaliani si scrive: «“I negoziati si sviluppano in un modo molto difficile, perché la parte ucraina, sebbene abbia espresso comprensione delle cose che dovrebbero essere concordate durante il dialogo, cambia costantemente posizione, rinunciando alle proprie proposte”, così il ministro degli Esteri russo Lavrov».
Le trattative per un accordo di pace in Ucraina sembrano non fare passi in avanti. La sensazione di poter colpire più duramente, economicamente e militarmente, la Russia, spinge Kiev e Washington a irrigidirsi.
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Su Fanpage si scrive: «“Oggi posso annunciare che, sulla base delle informazioni attualmente disponibili, il governo degli Stati Uniti ha stabilito che membri delle forze russe hanno commesso crimini di guerra in Ucraina”, con queste dichiarazioni del segretario di Stato Antony Blinken, gli Stati Uniti hanno accusato formalmente Mosca di crimini di guerra in Ucraina».
Gli Stati Uniti alzano l’asticella dello scontro politico-diplomatico, cercando però di non assumere un ruolo militare diretto.
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Sul Sussidiario si scrive: «“L’esercito russo” ci ha spiegato il generale Carlo Jean, esperto di strategia, docente e opinionista, “non è mai stato pensato per una guerra a lunga scadenza con combattimenti nelle città, è stato organizzato per eventuali conflitti in campo aperto, da qui il grande numero di mezzi corazzati a loro disposizione, mentre la fanteria può schierare un numero limitato di uomini. Ma essendo impossibile conquistare grandi città anche con i carri armati, i russi si trovano costretti a bombardamenti su larga scala contro i centri civili, in modo da terrorizzare la gente e sfiancare la resistenza. È quello che è stato fatto ad Aleppo e a Mosul”».
Jean analizza in modo convincente le difficoltà strutturali dell’invasione militare russa in Ucraina.
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Sulla Zuppa di Porro Stefano Magni scrive: «Prima di tutto bisogna rispondere alla domanda: in che condizione sono, realmente, le forze russe? Le perdite di entrambe le parti sono coperte da censura, non possiamo ritenere affidabili le cifre che sono circolate in queste settimane. Finora le analisi britanniche sono relativamente ottimiste (per l’Ucraina), quelle americane più pessimiste».
Magni, sostenitore churchilliano della linea dura verso Mosca, è anche osservatore acuto degli scenari bellici e non nasconde il dubbio sull’ipotesi che l’esercito russo possa essere piegato militarmente.
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Su Affaritaliani si scrive: «Anatolij Chubais, consigliere di Vladimir Putin per il clima, si è dimesso e ha lasciato la Russia. Economista dell’Università di Leningrado, ha svolto un ruolo chiave nelle riforme del paese negli anni Novanta, con l’uscita dall’era del comunismo e l’ingresso nel capitalismo. Dal 1994 al 1996 Chubais è stato vice primo ministro durante il governo di Boris Eltsin, per poi essere nominato inviato speciale per il clima da Putin».
Le rotture palesi con l’ala eltsiniana del blocco di potere putiniano mettono ancor più in evidenza lo scontro tra quelli che considerano l’assecondare i processi di globalizzazione in atto la ricetta migliore per Mosca e quelli che chiedono una più forte guida nazionale perché non si ripetano i fenomeni di spoliazione e disgregazione della Russia avvenuti intorno alla metà degli anni Novanta. Naturalmente i mezzi brutali usati in Ucraina da coloro che vogliono difendere gli interessi nazionali russi li mettono immediatamente dalla parte del torto su scala internazionale.
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Su Open si scrive: «La governatrice della banca centrale russa, Elvira Nabiullina, ha cercato di dimettersi dopo che Vladimir Putin ha deciso di invadere l’Ucraina. Secondo l’agenzia Bloomberg, è stato lo stesso presidente russo a ordinarle di fatto di restare. Secondo fonti qualificate, le dimissioni in questo momento sarebbero state viste come un esplicito tradimento del presidente russo, con il quale Nabiullina ha lavorato a strettissimo contatto negli ultimi venti anni. Da nove anni in carica, la governatrice è stata confermata per altri cinque anni appena la scorsa settimana».
Al di là degli scontri tra eltsiniani e putiniani, il disagio nelle élite intellettuali russe è al massimo di fronte alla brutalità delle mosse di Putin, anche se un certo senso di responsabilità nazionale potrebbe frenare esiti più radicali.
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Sul Post si scrive: «In un’intervista data martedì sera alla giornalista Christiane Amanpour di Cnn, il portavoce del governo russo, Dmitri Peskov, ha detto che la Russia non esclude del tutto l’ipotesi di ricorrere alle armi nucleari nella guerra in Ucraina. Quando Amanpour gli ha chiesto a quali condizioni il presidente russo Vladimir Putin potrebbe decidere di usarle, Peskov ha detto: “Se si presentasse una minaccia esistenziale per il nostro paese, potrebbe succedere”».
Al di là di tutto la fine dell’Unione Sovietica e della Guerra fredda è avvenuta senza tensioni internazionali che facessero temere un tragico, catastrofico conflitto nucleare. Si tratta di comprendere oggi bene quali sono i sentimenti non solo del blocco di potere putiniano con i suoi tratti dispotici spesso conditi da irrazionalismi nazionalistici, ma anche quelli di un popolo con antiche radici come quello russo. Una parte dell’opinione pubblica americana negli anni Cinquanta rispose al pacifismo che diceva “meglio rossi che morti”, che la libertà era un valore da difendere a tutti i costi. Il potere putiniano, al di là dei suoi strumenti di repressione e persuasione, ha una base di consenso reale in una popolazione che considera la difesa delle proprie tradizioni e della propria identità un bene supremo? Sulla finezza dell’analisi americana di questi sentimenti non scommetterei a occhi chiusi, basta considerare come hanno letto i comportamenti del popolo afghano dopo anni di dominazione militare.
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Sul Sussidiario Antonio Pilati dice: «Chi ha detto che un cambio di leadership a Mosca vedrebbe Navalnyj al posto di Putin? E se portasse piuttosto a una dittatura feroce? O al caos? O a un Cremlino ridotto a una succursale della Cina?».
Ragionare su scenari realistici e non solo su emozioni, peraltro assolutamente condivisibili come quella del sostegno al popolo ucraino, è assolutamente indispensabile.
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Su Affaritaliani si scrive: «La Russia è un “membro importante” del G20 e non va espulso. Lo dice la Cina, nella persona del portavoce del ministero degli Esteri cinese, Wang Wenbin, il giorno dopo che gli Stati Uniti hanno ventilato l’ipotesi di escludere Mosca dal gruppo dei Grandi 20 dopo l’invasione dell’Ucraina. “Il G20 è il principale forum per la cooperazione economica internazionale, che riunisce le maggiori economie mondiali. La Russia è un membro importante e nessun membro ha il diritto di espellere un altro paese”. “Il G20 dovrebbe praticare un multilateralismo vero, rafforzare la solidarietà e la cooperazione, collaborare per affrontare sfide eccezionali nei campi dell’economia, la finanza, lo sviluppo sostenibile e dare un contributo positivo per raggiungere uno sviluppo globale forte, verde e sano”».
La questione cinese non può essere affrontata con appelli retorici, bensì solo con un pensiero strategico.
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Su lavoce.info Gianmarco I. P. Ottaviano scrive: «Sanzioni invece di azioni militari: a renderlo possibile è la globalizzazione. Ma i paesi cercano alternative per evitare i ricatti economici reciproci».
Anche chi è convinto che la globalizzazione risolva da sé più o meno qualsiasi problema, avverte come la situazione concreta del mondo sia meno lineare di quel che prevedesse.
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