
Viaggio con la macchina del tempo. Un’Alfa Romeo, naturalmente

Arese (Mi). Il museo Alfa Romeo ha riaperto i battenti dopo anni di oblio. Basterebbe questa didascalica a giustificarne una visita a quello che fu il Museo storico ora ribattezzato “la macchina del tempo”.
La macchina del tempo per antonomasia, lo sanno gli appassionati di cinema oltre che di motori, non è un’Alfa ma una altrimenti non memorabile De Lorean ma questi sono, appunto, vezzi da cinefili. La cattedrale del Biscione è però quanto di più reale ci sia in fatto di viaggi nel tempo: non di quelli polverosi come un tour delle soffitte e dei musei che ne raccolgono le spoglie, ma di quelli veri, tangibili ed emozionanti. Roba da far dire a Mercedes Benz Italia «finalmente torniamo a correre insieme! Bentornata Alfa Romeo», battute da geni del marketing ma anche un gesto da signori quasi come il celeberrimo «quando vedo un’Alfa mi tolgo il cappello» di Henri Ford.
Divisa in tre piani, la collezione si articola seguendo un fil rouge (di nome e di fatto: si entra passando sotto ad una pensilina rossa, si prosegue in un tunnel rosso e rosse sono la stragrande maggioranza delle vetture. Rosso Alfa, ovviamente) ben definito: time line, con le vetture in parata cronologica, bellezza, con i prototipi e le grandi fuoriserie, e poi velocità, dove trovano posto le vetture che tutto hanno vinto nel corso dei decenni. Un autentico tuffo al cuore che aumenta man mano che gli scalini si esauriscono nel piano successivo, e non ci sono solo le auto da vedere, che pure valgono la visita: proiezioni, giochi di luci e tanti effetti speciali permettono al visitatore di guidare un’Alfa Romeo come Farina e Nuvolari, i grandi piloti d’un tempo, o indossare gli occhiali per la realtà virtuale e trovarsi seduti accanto ad un collaudatore di Alfa 4C alle prese col circuito di Balocco.
«È tutta un’altra cosa, una volta sembrava un parcheggio di vecchie glorie», commenta un visitatore. «Sono stato un amministrativo in Alfa Romeo fino alla pensione, oggi torno qui con i miei ragazzi dopo vent’anni e ritrovo la mia Alfa».
Sono tanti gli alfisti in crisi d’astinenza che si sono presentati in questi primi giorni d’apertura ai cancelli del museo, gli operai stanno ancora allestendo gli ultimi dettagli e alle casse c’è già la fila. Vengono da tutta Italia, e da tutta Europa, tutti qui per ritrovare una passione che negli ultimi decenni era stata ostaggio di troppe vetture sbagliate, incomprese e tristemente invendute.
Oggi Alfa Romeo è rinata, paradossalmente, grazie alle stesse due vetture che la trasformarono da piccola e combattiva fucina di bolidi da corsa in realtà industriale: Giulietta e Giulia. Ogni Romeo ha la sua Giulietta, la fidanzata degli italiani, si sarebbe detto un tempo. Oggi Giulietta è lì, assieme alla più piccola Mito, a riempire il grande concessionario all’uscita del museo. Rossa, manco a dirlo, e col quadrifoglio verde sulla fiancata.
Ecco, questa è l’Alfa Romeo, una vettura con un’anima indomita, sportiva ai limiti di una follia traboccante fin dal più piccolo dettaglio. Le Alfa hanno un dna la cui spirale tocca tutte le vetture create per portarne il vessillo e che si palesa, qui e là, sulle carrozzerie con un quadrifoglio stampato a mo’ di amuleto, divenuto con gli anni vero spauracchio degli avversari. «Questa marca cult italiana crea più emozioni con la sola maniglia di una porta rispetto a quanto possono fare altri costruttori con la loro intera gamma» ebbe modo di dire qualche anno fa Ferdinand Piech, padre padrone di Volkswagen, e ad Arese è un susseguirsi di ja, ja, ja: il signor Piech, che fra le altre cose è nipote di un certo Porsche, ha decisamente ragione.
All’uscita c’è lei, la nuova Giulia (ancora visibile per qualche giorno prima che gli ingegneri del famigerato “stunk works” che vi hanno lavorato in gran segreto per anni se la riprendano per ultimarne i collaudi in attesa di rivederla a Francoforte). Bianca, seducente e rabbiosa, come solo le vetture che furono di Ferrari, Fangio e Ascari sanno essere. Alfa è tornata e stupisce, ancora una volta.
Lasciamoci stupire, perché in ogni automobilista batte un cuore alfista.
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