
Nell’intervista di Concetto Vecchio a Carlo Calenda pubblicata mercoledì a pagina tre di Repubblica il leader di Azione, fresco di accordo elettorale con Enrico Letta ha rassicurato tutti sul fatto che “dorme bene”, cosa affatto scontata in questo agosto torrido, ma soprattutto ha spiegato che se il 25 settembre prossimo dovesse vincere la destra, l’Italia farà «la fine del Venezuela». Ora, è davvero curioso il confronto tra Giorgia Meloni, Matteo Salvini, Silvio Berlusconi e il dittatore venezuelano Nicolás Maduro Moro.
Già, perché se ancora le parole hanno un senso, nulla al mondo è più agli antipodi del centrodestra italiano rispetto al modello economico, sociale, culturale imposto negli ultimi 23 anni dal chavismo nel paese con le maggiori riserve petrolifere al mondo con omicidi politici, violenza quotidiana, almeno il 22 per cento dell’economia che deriva direttamente da attività criminali, in primis il narcotraffico e l’oro di sangue, il 96 per cento di poveri, un’economia distrutta che ha perso il 76 per cento del Pil da quando Maduro è al potere e oltre 6,2 milioni di profughi, su una popolazione inferiore ai 30 milioni.
«Una destra» e la dittature socialista in Venezuela
Bisognerà studiare a fondo i programmi economici di FdI, Lega e Forza Italia, ma se ancora le parole, come ad esempio quella che Calenda definisce “una destra”, hanno un senso, il parallelo dovuto sarebbe stato eventualmente con il Partito repubblicano statunitense, che è pro mercato, a favore degli “animal spirits”, del meno stato e burocrazia e di più libertà privata e semplificazioni. Ma soprattutto, dal punto di vista politico, “una destra”, qualsiasi essa sia a patto ovviamente che sia repubblicana e democratica, è per definizione contraria alle dittature autoritarie figlie del Socialismo del Secolo XII “inventato” dal maestro di Maduro, l’ex comandante Hugo Rafael Chávez Frías, autore di un golpe, sanguinoso e fallito, il 4 febbraio del 1992 (dimenticato a differenza di quello da lui subìto nel 2002, fallito e assai meno sanguinoso), oggi celebrato a Caracas come il fascismo in Italia celebrava la marcia su Roma.
Gli alleati di Maduro sono gli amici del Pd
Calenda dorme bene ma ha toppato alla grande sventolando lo spauracchio del Venezuela, a meno che non sia stato colto da lapsus freudiano, come il suo neo alleato Di Maio che, quando era meno democristiano e ancora barricadiero e amico dei gilet Gialli, per odio interposto verso Renzi gridò, anzi twittò, sul rischio di finire “come Pinochet in Venezuela”.
Svarioni a parte, i migliori alleati latinoamericani del nuovo alleato a sinistra di Calenda, il “socialista” Letta, con cui «sul nucleo fondante di proposte, ci siamo trovati d’accordo» – dixit il leader di Azione a Repubblica – sono nell’ordine tutti molto vicini al Venezuela di Maduro: da Cristina Kirchner, che deve alla dittatura di Caracas gran parte dei finanziamenti cash delle sue passate campagne elettorali, a Lula da Silva, visitato quando era in carcere a Curitiba dal sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, e che tra un paio di mesi potrebbe tornare al potere in Brasile. Di certo gli appoggi e gli afflati culturali e morali sul fronte venezuelano e latinoamericano in Italia sono da cercare a sinistra. La destra, anzi “una destra” per dirla alla Calenda, è distante anni luce da qualsiasi “deriva venezuelana”. Le mancano le basi.