Nikita Horban si ritiene fortunato. Rapito dall’esercito di Vladimir Putin a marzo nel piccolo villaggio di Andriivka, a ovest di Kiev, e rinchiuso fuori dall’Ucraina in un carcere russo, è sopravvissuto alle sevizie dei soldati ed è rientrato in uno scambio di prigionieri. Parte dei piedi, a causa delle conseguenze delle torture, gli è stata amputata ma ad altri, dice, è andata peggio: «Almeno a me non hanno dovuto amputare le gambe», racconta alla Bbc.
I piedi infilati in stivali pieni d’acqua
L’odissea di Nikita è iniziata quando i russi hanno fatto irruzione in casa sua e lo hanno prelevato insieme al padre, Sasha, lasciando sole e terrorizzate le mogli dei due uomini e il figlio piccolo di cinque anni. Padre e figlio sono stati bendati e portati a forza in un campo. Qui hanno subito diverse torture ma è una quella che Nikita non dimenticherà mai. I soldati gli hanno sfilati gli stivali, li hanno riempiti d’acqua e glieli hanno fatti indossare di nuovo. Poi, insieme al padre e ad altri prigionieri, lo hanno fatto stendere faccia a terra sul fango, lasciandolo lì, sotto la pioggia, mentre il clima si faceva «sempre più freddo», «per tre o quattro giorni».
L’assistente di laboratorio in un ospedale di Kiev pensava solo a Sasha: «Non sapevo se fosse di fianco a me o se l’avessero già ucciso». Era di fianco a lui e stava bene. I due, senza potersi vedere, fecero a tempo a dirsi addio un’ultima volta, convinti la fine fosse vicina, ma la fine non arrivò.
Rinchiusi in un carcere in Russia
Nikita e Sasha furono infine caricati su un camion, con i piedi «che non sentivo più» sempre immersi nell’acqua gelida, poi uniti a un altro gruppo di prigionieri, fatti salire su un elicottero, poi su un aereo e infine trasportati fuori dall’Ucraina nel campo di detenzione numero 1 della città russa di Kursk.
Prima di rinchiuderlo in una cella, dopo insistenti richieste, Nikita è stato portato in un ospedale, dove i suoi piedi sono stati bendati. Questo è il massimo delle cure che ha ottenuto perché, come gli hanno detto sadicamente i soldati, «qui abbiamo ottimi medici e ottime cure ma non sono per te».
Obbligato a cantare inni a Putin
Nikita ha dovuto indossare un’uniforme da carcerato, rasarsi i capelli e regolarmente veniva «vaccinato», il termine con cui sono chiamati nella prigione di Kursk i pestaggi. Al mattino le guardie consegnavano ai prigionieri il testo delle canzoni patriottiche russe e di altri motivi inneggianti a Putin: «Dovevamo impararli a memoria entro pranzo e poi recitarli».
Due o tre volte al giorno veniva interrogato e picchiato, poi fu costretto a firmare documenti nei quali asseriva che non era stato maltrattato nella prigione di Kursk: solo così Nikita seppe dove l’avevano rinchiuso. Dopo tre settimane di prigione, i suoi piedi, congelati, erano ormai in cancrena e un chirurgo gli disse che avrebbero dovuto amputarli. «Erano ridotti così male che mentre me li esaminava, uno dei due si staccò».
«Voglio solo rivedere la mia famiglia»
Dopo l’operazione, Nikita passò un’altra settimana in ospedale e poi una guardia gli disse che sarebbe stato rimandato a casa «perché la tua famiglia si prenda cura di te». Secondo Nikita oltre un migliaio di ucraini si trovavano in quelle prigioni e lui fu scambiato per alcuni soldati russi. Trasportato in aereo in Crimea, fu disteso in un camion che dopo cinque ore lo scaricò in mezzo a un’autostrada, il luogo prescelto per lo scambio dei prigionieri.
Capì che si trovava di nuovo a casa quando un soldato gli disse in lingua ucraina: «Bentornato amico». Ma Nikita non sapeva che cosa fosse successo alla sua famiglia durante il periodo di prigionia, che durò più di un mese. Dopo aver provato più volte, riuscì a contattare la moglie Nadia, che era scappata in Belgio insieme al figlio .
Trasferito a Kiev, Nikita sta oggi imparando di nuovo a camminare con la parte di piedi che gli rimane. I dottori gli parlano delle cure, ma lui non ascolta pensando solo a due cose. «Voglio raggiungere mia moglie e mio figlio». L’altro pensiero è il padre Sasha, che non è ancora tornato a casa: «Quando mi hanno riportato in Ucraina era ancora vivo. Aspetto e spero di rivederlo presto».
Foto Bbc