
Con la pace tutto è possibile, con la guerra tutto è perduto

Non bisogna farsi incantare dai pifferai magici che dicono “guerra, guerra, guerra”, né da quelli che vogliono far passare Putin come l’alfiere cristiano, uomo deciso e risoluto, capace di opporsi al corrotto Occidente. È una morsa cui conviene sottrarsi, soprattutto in un momento come questo, dove si è tutti molto concentrati a dimostrare di stare “dalla parte giusta”, più propensi a cercare ragioni per combattere che ragioni per deporre le armi. Finché è così, è difficile uscirne, ma riscriviamo oggi ciò che abbiamo scritto nei primi giorni: con la pace tutto è possibile, con la guerra tutto è perduto.
Il putinismo non è la soluzione
Ieri Avvenire riportava le parole del vicesindaco di Mariupol, Sergeij Orlov: «Sono ormai trascorsi ventitré giorni dall’inizio dell’offensiva. Da allora, i residenti non hanno acqua né elettricità. Alcuni sciolgono la neve nei secchi per lavarsi. Si nascondono come riescono per sfuggire alle bombe. Non possono nemmeno seppellire i morti. Sono costretti a lasciare i cadaveri in giardino o fuori dalla porta di casa, avvolti in un lenzuolo. Si rende conto? Alla sofferenza della perdita si somma quella di dover “gettare via” il corpo. Non hanno altra scelta: chiunque esce diventa un bersaglio. L’intera Mariupol è stata distrutta. L’aviazione di Mosca non ha fatto distinzione: si è accanita sulle strutture pubbliche, sulle case private, sulle infrastrutture, perfino sugli ospedali. L’impianto di Azovstal, uno dei maggiori siti metallurgici d’Europa, è stato raso al suolo. Ormai non c’è più un edificio in piedi».
Questa è la situazione sul campo, e si possono trovare altre mille disperate testimonianze di violenza. Questo è l’odio che ha innescato Vladimir Putin: è lui l’invasore e il seminatore di morte. Chi ancora s’ostina a giustificare in qualche modo i suoi orrori vedendo in lui il campione capace di rimettere ordine nel mondo è in preda a un abbaglio. È vero che l’Occidente è in crisi di identità, è vero che l’Europa non sa più cosa significhi essere Europa, è vero che nella metà del mondo “progredita”, chiamiamola così, “verità”, “ragione” e “libertà” sono da tempo diventate parole senza radici, ma non è vero che il putinismo è la soluzione.
Non caschiamo nella propaganda di Putin
L’ideologia del gender, il millenarismo climatico, l’universalismo gnostico liberale, come lo chiama Casadei citando Patrick Deneen, non si risolvono sostituendo l’ideologia con la ferocia e l’autoritarismo. Quando Putin parla della cancel culture, citando il caso di J.K. Rowling, sta girando il coltello nella piaga delle nostre contraddizioni, ma – in fin dei conti – sta facendo solo un’abile operazione di propaganda.
Per favore, non caschiamoci. Putin non è la soluzione, è solo l’altra faccia (violenta) del problema. Con tutti i suoi difetti, la vita nel mondo occidentale – grazie al seme cristiano impiantato nel mondo – è più libera di qualsiasi altra vita in qualsiasi altra parte del pianeta. È così libera che s’è persino ubriacata di questa libertà, recidendo il suo nesso con la verità. Ma questo nostro scassato lato occidentale del mondo resta preferibile agli altri: qui si può pur sempre ricominciare. Altrove, persino questa possibilità è negata e perseguitata. Qui, un Orsini perde il suo contratto in Rai, là finisce nelle gattabuie di Mosca.
Scherzare col fuoco
Quindi? Quindi bisogna continuare “a chiamare le cose con il loro nome”. Denunciare il grottesco comportamento di un Occidente che mette al bando Dostoevskij pensando così di fermare le bombe ma anche spegnere gli istinti bellicosi dei giornalisti con l’elmetto, come li chiama Lodovico Festa (quegli stessi giornalisti che chiamano “né né” tutti quelli che non la pensano come loro. Come loro che stanno col coltello tra i denti e il culo appoggiato alla poltrona di casa. Tanto, a farsi ammazzare ci pensano gli ucraini).
Ci vuole, da un lato, estremo realismo. Dall’altro, meno ipocrisia. Non si può non tenere conto che un allargamento del conflitto potrebbe avere conseguenze letali. Come si dice spesso, “una guerra nucleare sarebbe l’ultima guerra”. Questo lo sanno anche i nostri governanti e l’ha capito infine anche Zelensky. Non è un caso che nessuna no-fly zone sia stata concessa o che – vedi risposta di Draghi e degli altri leader europei – l’Ucraina non sia stata fatta entrare rapidamente nella Ue. Così come tracciare la linea rossa sull’uso delle armi chimiche è un’altra scelta rischiosa (l’abbiamo già visto in Siria, no?). Bisogna stare molto attenti a scherzare col fuoco, soprattutto se, dall’altra parte, hai gente come Putin o Kim Jong-un.
Voci profetiche ignorate
Armare gli ucraini con più decisione di quanto abbiamo fatto finora è un’opzione freddamente razionale anche per il pacifista, che sa che per ottenere una tregua occorre che l’avversario abbia di fronte una forza di deterrenza pari alla sua. D’altronde, armare gli eroici ucraini che combattono per la loro patria significa anche prolungare il conflitto e quindi più morti, più violenze, più distruzione. È un dilemma e si ritorna al punto di partenza sulla pace come unica precondizione perché una soluzione razionale sia possibile.
Chi oggi continua a invocare la pace? Il Papa, la Chiesa, sostanzialmente ignorati. Non è una storia nuova: fu così per l’inutile strage denunciata da Benedetto XV, fu così per Giovanni Paolo II nei giorni precedenti all’attacco all’Iraq. È destino di tutte le voci profetiche rimanere inascoltate dai contemporanei. Non è un buon motivo per tacere.
Foto Ansa
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