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Tutto il bene che ha fatto Pelé al suo Brasile

Il più grande calciatore di sempre ha saputo dare speranza a un popolo troppo spesso arreso a povertà e fallimento. E a unire un paese sempre più diviso

Paolo Manzo
31/12/2022 - 6:10
Sport
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Pelé
Il grande Pelé e, sullo sfondo, la sua maglia numero 10 della Nazionale del Brasile (foto Ansa)

Pelé è morto. All’età di 82 anni, il miglior calciatore di tutti i tempi si è spento per un cancro al colon, con cui lottava dall’agosto del 2021. Era stato ricoverato all’ospedale Albert Einstein di San Paolo il 29 novembre scorso. Pregava molto Pelé nella sua stanza d’ospedale, un’abitudine che lo ha sempre accompagnato durante la sua vita. “O Rei” ha dunque concluso i suoi giorni pregando con i parenti ma anche con i dottori e gli infermieri dell’Einstein e ha portato la sua fede fino alla fine, senza mai smettere di ringraziare Dio per il dono fattogli senza chiedere nulla in cambio.

Il buon esempio del “Re”

Pelé ha rappresentato e ancora oggi rappresenta per il suo Brasile molte cose. Innanzitutto la gioia che per i 90 minuti che dura una partita fa dimenticare la fame e la sofferenza a tanti brasiliani poveri. Poi l’unità di un paese che, pur essendo oggi spaccato politicamente in due tra lulisti e bolsonaristi, da ieri si è radunato di nuovo attorno al suo più grande campione sportivo e modello da seguire. Già, perché O Rei, pur avendo avuto i suoi dolori, ha sempre dato il buon esempio. Razionale e brillante nel parlare, senza problemi di alcolismo né di droghe (e qui il pensiero corre inevitabilmente alla vita ma anche alla morte di Maradona), consapevole che Dio ci ha lasciato il libero arbitrio e che ciascuno è padrone del proprio destino più di quanto, paradossalmente, non si creda nel mondo a-religioso di oggi.

Un testamento social

Non a caso, il 17 dicembre scorso il tre volte campione del mondo aveva fatto pubblicare sul suo canale Instagram una sorta di testamento spirituale per i suoi tifosi e per tutti coloro che lo amavano. «La vita è un’opportunità, quello che decidiamo farne dipende da noi. Possiamo avere successo ma anche sbagliare. Nella vittoria veniamo celebrati ma è nella sconfitta che impariamo», aveva scritto Pelé. Per poi aggiungere ancora: «La vita è sempre generosa e offre sempre nuovi inizi. Ogni giorno che passa, iniziamo un nuovo cammino. E in questo ciclo alimentiamo sogni che non muoiono mai, a prescindere dagli ostacoli che incontriamo». E così si concludeva il suo testamento: «Non so cosa in Brasile ci renda così pazzi per il calcio. Se è l’amore che ci unisce o perché il calcio ci fa dimenticare i nostri problemi di fame e povertà per 90 minuti. Ma non importa il motivo. Questo tifo ci ha unito. E il mio sogno è che questo “sentimento” duri per sempre». Un inno d’amore per il calcio che è anche un invito all’unità del paese. Ma soprattutto un inno alla vita per chi, travolto dalle difficoltà e le sconfitte, è tentato di lasciarsi andare.

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Le difficoltà in famiglia

Difficoltà Pelé ne ha avute e anche grosse. Un figlio, Edinho, che dopo avere seguito le sue orme calcistiche al Santos era stato travolto dal dramma della tossicodipendenza finendo anche per tre volte in carcere. Una figlia che lo aveva portato in tribunale per poi vedersi alla fine riconoscere, ma che sarebbe infine morta di tumore troppo giovane. Le ha superate tutte O Rei, con tenacia e senza mai mollare, anche grazie a uno spiccato sense of humor, più britannico che brasiliano.

Il ricordo del nipote

Tanti i ricordi resi noti in queste ore da famigliari e amici, campioni e politici ma, alla fine, forse il più toccante è quello di Arthur, suo nipote: «Nonno Dico [lui lo chiamava così, ndr], tu sei il mio idolo e lo sarai sempre, indipendentemente da dove ti trovi, in terra o in cielo, io sarò sempre il tuo “Tutù dei fagioli” [Pelé chiamava così Arthur, ndr], ora sono rimasti solo bei ricordi insieme. So che indipendentemente da dove sei mi sosterrai e mi benedirai sempre in tutto nella vita e sarai sempre insieme a me. Sono sicuro che andrai in paradiso con un’immagine di me come un nipote molto presente. Ti ho sempre amato moltissimo e ho sempre voluto stare insieme a te, ti amo moltissimo indipendentemente da dove sei, ti porterò sempre con me nella mia vita, nella buona e nella cattiva sorte, perché so che se tu fossi qui mi sosterresti. Ti voglio bene nonno, ovunque tu sia».

 

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La nazione in lutto

Il presidente Jair Bolsonaro ha decretato tre giorni di lutto nazionale, mentre i figli di O Rei, per non creare sovrapposizioni con la cerimonia di insediamento del presidente eletto Luiz Inácio Lula da Silva, in programma per domenica 1 gennaio 2023, hanno deciso di spostare l’addio pubblico a lunedì prossimo. Celebrazioni sono previste anche a Três Corações, la città natale di Pelé nell’entroterra del Minas Gerais, dove Edson Arantes do Nascimento era un’istituzione da sempre. Oggi lo è ancora di più da ieri, nel mito del ricordo.

Dalle umili origini alla leggenda

In questa città di 75 mila abitanti circondata da piantagioni di caffè, in molti visiteranno la Casa Pelé, la replica della umile dimora dove il più grande calciatore di sempre nacque e visse nei suoi primi anni di vita. Costruita con i ricordi di sua madre, Celeste Arantes do Nascimento, ancora in vita, ormai centenaria e trasferitasi a Santos, Casa Pelé incarna le povere origini della famiglia del campione: pochi mobili, un paio di pagliericci, una vecchia radio sotto un ritratto ovale dei genitori alla parete.

Fino a lunedì il corpo di Pelé sarà mantenuto in una cella frigorifera. Il corteo funebre, scortato con tutti gli onori, lascerà poi l’ospedale Einstein di San Paolo per raggiungere lo stadio di Vila Belmiro, a Santos, la città che lo ha amato di più e dove lui si era consacrato come il migliore calciatore del mondo. Dopo una veglia, i resti mortali di Pelé verranno cremati, per sua espressa volontà.

Tags: brasilecalciomaradonapelè
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