Tremonti e la pistola spara supposte. Dal blog di Franco Bechis

Di Redazione
23 Settembre 2011
Il vicedirettore di Libero e quell'aneddoto sul ministro che ne fermò la nomina al Tg1. E quella volta al Meeting di Rimini che disse: «Bechis, lei ha mai fatto marchette? No? E allora lo vede che lei non è un giornalista adatto al servizio pubblico?»

Franco Bechis, vicedirettore di Libero, ha raccontato sul suo blog una serie di divertenti infortuni che gli sono capitati con il ministro dell’Economia Giulio Tremonti.

Ecco il testo del post “Quella supposta che Tremonti non ha perdonato”

Che Giulio Tremonti non sia un carattere facile, l’ho provato sulla mia pelle. Lo feci arrabbiare più volte con quel che scrivevo. Ma una non me l’ha mai perdonata. Tanto che quando nel 2009 il mio amico Augusto Minzolini mi chiese di seguirlo come vicedirettore al Tg1, fu impossibile proprio per il veto del ministro dell’Economia. Un po’ di ragioni il povero Tremonti a essere sinceri le aveva. Un giorno in un ristorante di Roma sedetti a fianco di Elisabetta Gardini, in procinto di diventare portavoce di Forza Italia. Era un po’ chiacchierona, e fra tante cose raccontò una serata passata con Angiola Tremonti, la sorella del ministro. Anche un episodio divertente: la sorella disse che Giulio fin da bambino aveva un terrore sacro per le supposte. Diventato adulto, è capitato che ne avesse bisogno. Ma non sapeva metterle. Così si era acquistato una pistola- spara supposte. Non ne conoscevo l’esistenza. Finito il pranzo entrai in un paio di farmacie. E scoprii un mondo a me ignoto: le pistole spara-supposte esistevano davvero. I modelli che andavano per la maggiore erano due. Ne acquistai uno, lo fotografai e raccontai l’episodio sul giornale che allora dirigevo (Il Tempo) corredando gli articoli firmati con un collega che era presente con un fotomontaggio spiritoso: James Bond con la faccia di Tremonti e la pistola spara-supposte in pugno. Naturalmente il ministro la prese malissimo, e mi fece una telefonata di fuoco che conservo ancora (insieme a tante altre sue sfuriate).

Quattro o cinque anni dopo venne il momento della sua vendetta. Quando Minzolini mi propose di fare il suo vice, Tremonti si mise di traverso: era l’azionista della Rai e aveva una certa influenza sul consiglio di amministrazione. La nomina sarebbe stata bocciata. Dissi a Minzolini di non proporla nemmeno, e probabilmente quella è stata la mia fortuna: sono venuto felice a Libero e non al Tg1. Qualche settimana dopo al Meeting di Rimini sbagliai stanza ed entrai in una saletta dove c’era Tremonti con il governo di San Marino. Lui sbiancò, mi fece capire a gesti di stare zitto e che voleva parlarmi subito dopo. Lo attesi fuori. Mi prese sotto braccio e mi disse: “io non ero contrario di principio a lei per il Tg1. A patto però che lei non si occupasse di economia”. Dissi che avendo fatto il giornalista economico per 20 anni, Minzolini mi aveva chiamato per quel che sapevo fare… Allora Tremonti si fermò e mi chiese: “Scusi, in 20 anni da giornalista economico, lei mi ha mai fatto una marchetta?”. Restai di sasso: no, non ero abituato a fare quelle che lui chiamava “marchette”. Davo notizie, ed ero pure cattivello. Di fronte al mio no, Tremonti allargò le braccia: “No? E allora lo vede che lei non è un giornalista adatto al servizio pubblico?”. In effetti non lo sono… 

 

 

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