Tre accorgimenti di buon senso per snidare la corruzione dal sistema

Di Alfredo Mantovano
16 Febbraio 2015
Procedere solo per sanzioni penali sempre più elevate significa continuare a erigere ostacoli alla realizzazione delle opere pubbliche. Urge un sereno esame della realtà

Domanda: da quando, poco più di due anni fa, il Parlamento ha approvato la “legge Severino”, il livello di corruzione in Italia è aumentato o è diminuito? Il quesito è retorico: se vi è l’esigenza di un nuovo tour de force del Parlamento per varare nuove norme la risposta è nei fatti. Seconda domanda: da quanto pubblicato sui giornali, ci sono le premesse perché l’impegno a cui vengono chiamati Camera e Senato abbia esiti meno deludenti rispetto a quelli della più recente riforma? In attesa che le anticipazioni si traducano in articoli e in commi è lecita qualche perplessità. Buon senso imporrebbe di prevenire i fenomeni corruttivi, introducendo meccanismi che li scoraggino o ne impediscano il dilatare. E invece par di capire che il terreno di intervento saranno le norme penali: come se aumentare le pene e introdurre nuove figure di reato, cioè concentrarsi sul “dopo”, quando il danno è prodotto, non sia una scelta già più volte rivelatasi improduttiva.

Qualche esempio di accorgimenti – in apparenza minuscoli – adatti a snidare la corruzione dal sistema:

  • si pensi all’inerzia o al ritardo delle pubbliche amministrazioni; disposizioni più rigorose sul rispetto dei tempi e sulle competenze, con l’obbligo di un cronoprogramma non velleitario, e con sanzioni disciplinari serie per i funzionari inadempienti, scoraggerebbe le richieste di “olio” perché la macchina vada avanti a ogni intoppo;
  • si pensi all’uso distorto della giustizia amministrativa: capita che il concorrente escluso dall’aggiudicazione in una gara di appalto presenti ricorso al Tar, col risultato di bloccare l’esecuzione dell’opera, e che poi lo stesso ricorrente “contratti” con l’aggiudicatario la rinuncia al ricorso. È evidente che il “prezzo” sale quanto più ci si avvicina alla sentenza, e sale ancor di più dopo la pronuncia, se è favorevole al ricorrente: individuare una griglia di materie per le quali dopo la sentenza non si può più tornare indietro eviterebbe i danni costituiti dal fermo dell’opera, dal suo costo nelle more cresciuto, e dal denaro circolato impropriamente;
  • si pensi al depotenziamento, avvenuto da oltre 15 anni, con le leggi Bassanini, di filtri di legalità all’interno degli enti locali, primo fra tutti il segretario comunale, ridotto alla funzione di consigliere del sindaco, a rischio licenziamento se non esegue quanto è a lui gradito, pur se di dubbia legittimità: ripristinare un filtro di giuridicità (non una valutazione del merito, che spetta a chi è stato eletto), cioè una attestazione di conformità degli atti dell’ente territoriale alle leggi e ai vincoli di bilancio, non lederebbe l’autonomia dell’ente e garantirebbe il rispetto dell’ordinamento nel suo insieme.

Gli esempi potrebbero moltiplicarsi, ma stanno a indicare terreni di riflessione e di intervento differenti da quello che sembra preferito dagli annunci degli ultimi giorni. Proseguire sulla strada della panpenalizzazione significa però rinunciare alla costruzione di meccanismi di filtro preventivi e proseguire nell’erigere ostacoli alla realizzazione delle opere pubbliche; la moltiplicazione delle informazioni di garanzia e delle misure cautelari, ancora di più dei ricorsi al Tar, otterranno un effetto paralisi, senza garantire trasparenza a monte. Se per una volta dall’effetto annuncio, coincidente col prospettare le pene più elevate, si passasse all’esame sereno della realtà, sarebbe l’occasione per riequilibrare un sistema intollerabile.

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