Tiraboschi: la riforma del lavoro di Monti? «Ha causato disoccupazione». Il piano della Cgil? «Dirigista e inefficace»

Di Francesco Amicone
30 Gennaio 2013
Per l'allievo di Marco Biagi la riforma Monti-Fornero «ha causato un'impennata della disoccupazione e del lavoro nero». Il futuro del lavoro? La cooperazione

«Molto Stato e poca sussidiarietà». Michele Tiraboschi, giuslavorista e direttore della Fondazione Marco Biagi, boccia il piano di lavoro della Cgil. Ma anche la riforma del lavoro Monti-Fornero: «Fa un clamoroso passo indietro rispetto alla legge Biagi, addirittura fino a considerare la flessibilità, intimamente legata all’occupazione, come un disvalore».

Tiraboschi, pensa che la riforma del governo Monti abbia inciso sulla disoccupazione?
Purtroppo sì. E molto. La legge 92/2012 ha causato un’impennata del livello di disoccupazione e di lavoro nero. Ha reso incerte le norme sulla flessibilità in uscita e irrigidito, senza criterio, la flessibilità in entrata. Per fare un solo esempio, la legge Fornero uccide il lavoro regolare nel turismo e nei servizi.

Il programma per l’occupazione, presentato settimana scorsa dal segretario Cgil Susanna Camusso, insieme al leader della coalizione di centrosinistra, Pier Luigi Bersani, prevede un investimento dello Stato di 15-20 miliardi l’anno per l’occupazione, grazie a una patrimoniale e a un aumento della progressività delle imposte. Cosa ne pensa?
È un piano di stampo marcatamente dirigista inutile all’Italia. L’aumento di spesa pubblica per migliorare il mercato del lavoro è un’azione già testata in passato, e si è sempre rivelata poco efficace.

Il tasso di disoccupazione è in continuo aumento e ha superato ampiamente la soglia del 10 per cento. Cosa si potrebbe fare per correggere questa tendenza senza aumentare la spesa pubblica?
Una “Agenda Lavoro” efficace dovrebbe promuovere l’attuazione degli strumenti virtuosi esistenti, come l’apprendistato per i giovani, e un rinnovato protagonismo della contrattazione collettiva. Occorrono meno leggi e più contrattazione, tanto a livello aziendale o territoriale che a livello individuale, rispettando le peculiarità dei diversi settori produttivi. Le parti sociali, i veri protagonisti del mercato del lavoro, sono in grado di prendere decisioni importanti per la salvaguardia del lavoro e dell’occupazione, senza che siano guidati da interventi unilaterali del legislatore.

Bisogna puntare sul lavoro per uscire dalla crisi?
Assolutamente sì, ma con intelligenza e lungimiranza. L’attuale riforma Monti-Fornero non è in grado di superare la crisi in cui stagniamo da tempo. La gran parte del mondo produttivo italiano è stato traumatizzato dalle nuove norme e soltanto il 30 per cento della stessa è effettivamente operativo.

Beppe Grillo ha proposto l’eliminazione dei sindacati. Lei pensa che dovrebbero cambiare il loro modo di proporsi come attori nel mercato del lavoro?
La “sparata” di Grillo ha fatto subito presa tra i giovani e i tanti esclusi dal mercato del lavoro regolare che imputano gravi responsabilità al sindacato confederale. Anche per questo i sindacati devono rinnovarsi e in fretta. La crisi globale sta mettendo a dura prova le imprese e, di conseguenza, la stessa sostenibilità del costo del lavoro, purtroppo, però, ancora oggi parte del mondo sindacale non si rende conto dell’enorme potenziale dello strumento della contrattazione collettiva di cui sono gli unici titolari. Ricordo anche l’art. 8 dell’allora ministro Maurizio Sacconi, oggi rilanciato dal progetto Monti-Ichino. I sindacati stessi dovrebbe essere i primi fautori di un rinnovato modello di relazioni industriali in Italia, ancora tarato su un sistema produttivo non più attuale, e dovrebbero chiedere a gran voce l’utilizzo diffuso della contrattazione di secondo livello. Si veda l’esempio virtuoso del rinnovo contrattuale dei chimici. Solo in questo modo si potrà giungere ad avere in Italia un sistema di relazioni di lavoro efficaci, mature e rimesse ai veri protagonisti del mercato.

Esiste una correlazione fra le leggi sul lavoro e la crisi economica e del debito che investe l’Italia?
La crisi è globale, ma in Italia è stata sicuramente determinata dall’attuazione di leggi non adeguate o dalla mancata attuazione di norme di legge invece virtuose. In materia di lavoro, più che il legislatore, intervengano attivamente le parti sociali. La politica italiana è intervenuta spesso per sollecitare interventi riformatori, ma purtroppo il risultato non sempre è stato quello sperato. Se la politica interviene eccessivamente (o peggio unilateralmente) a disciplinare una materia che invece dovrebbe essere rimessa quasi esclusivamente agli attori sindacali e datoriali, il rapporto diventa sbilanciato e non si troverà mai un consenso diffuso. Credo molto, in particolare, nella bilateralità e in Italia abbiamo buone pratiche come quelle del commercio e dell’artigianato.

Quanto e come incidono le leggi sul lavoro sulla competitività, in Italia?
Molto, ma vanno approvate con criterio. Il sistema Italia è altamente qualificato e competitivo, ma va messo in condizione di operare nel mercato globale. Iniziamo ad aiutare le imprese ed il lavoratori, approviamo versi sgravi ai salari di produttività, così le imprese e i singoli lavoratori saranno incentivati a lavorare per portare il sistema produttivo italiano all’eccellenza.

Come sarà il mercato del lavoro nel futuro? Su cosa dovrebbe puntare una prossima riforma?
Questo è uno dei grandi temi che porto avanti insieme ai miei ricercatori di ADAPT – Centro Studi Marco Biagi. L’organizzazione delle realtà lavorative si sposterà sempre di più verso il lavoro cooperativo e non più agganciato al concetto di subordinazione. Questa metamorfosi imporrà di certo la revisione delle tipologie contrattuali oggi esistenti, che si dovranno adattare alle nuove esigenze di flessibilità del mercato. I prossimi interventi riformatori dovranno tenere conto necessariamente degli aspetti formativi e della certificazione delle competenze, senza dimenticare di dare un impulso all’apprendistato e alle forme di alternanza scuola-lavoro. Di recente ho parlato con alcuni imprenditori che cercano disperatamente giovani da inserire nelle loro aziende, manifatturiere, metalmeccaniche, ecc., ed è un vero peccato far perdere ai nostri giovani, ormai disillusi, delle occasioni lavorative e formative eccellenti.

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