Caro Direttore, pensavo di scrivere qualche divertente e amara considerazione sull’ultima riforma che, certo per trovare una soluzione ai tanti problemi della giustizia e del carcere, ha stabilito che “a partire dal 14 settembre il Ministro e il Ministero di Grazia e Giustizia hanno assunto rispettivamente la denominazione di Ministro della Giustizia e Ministero della Giustizia…”. Forse una confessione d’impotenza, per un Ministero e una Giustizia e Giudici capaci solo di proclamare emergenze, e una riforma come al solito sulla carta, sull’intestazione intanto dei documenti ufficiali e delle sentenze… E sarebbe fin troppo facile scherzare su questa Giustizia davvero disgraziata e quelli che con malagrazia la rappresentano. A cui, malgrado gli studi di Diritto Romano, non deve essere venuta in mente la massima ciceroniana “summus jus, summa iniuria”, a significare che la Giustizia, lasciata a se stessa, senza la Grazia, rischia tragicamente di trasformarsi nel suo esatto contrario. Da cui può forse riscattarla solo la penultima delle beatitudini evangeliche: Beati coloro che sono perseguitati a causa della Giustizia… Beati perché a loro apparterrà il Regno dei Cieli, e beati forse anche qui sulla terra, perché la pena, più è assurda e più è ingiusta, aiuta a sopportare la condanna. In un carcere che la legislazione premiale ha ridotto a uno squallido gioco delle parti tra carcerati e carcerieri, ricatti e penitenzialismi, e dove è stato cancellato quello che era comunque l’unico valore positivo del carcere: quella solidarietà tra i detenuti, la solidarietà nel dolore che restava anche quando tutto il resto era ormai perduto, e che poteva ancora tutto salvare. Un carcere dove anche l’amore e gli affetti sono stati regolamentati assoggettati all’autorità, che ha previsto una sessualità mercificata e degradata, da consumare a turno accanto alle celle (una perversione, in queste disposizioni legali, cui non erano arrivati neanche De Sade e Sacher-Masoch nei loro romanzi). Una Giustizia che, privata programmaticamente della Grazia, senza riferirsi a qualcosa che trascenda la miseria umana e la misera contabilità dei Codici e delle Leggi, non è. Una Giustizia latitante, come un paio di giorni fa, quando sono stato citato davanti al Tribunale di Sorveglianza che doveva decidere se ventiquattro anni di pena e penitenza potevano bastare per concedermi la semilibertà. E che invece non ha deciso nulla perché il Giudice di Sorveglianza non c’era. Senza una scusa, senza una spiegazione nemmeno per gli avvocati, per l’onorevole Simeone che per un giorno aveva lasciato i lavori parlamentari per venire a Milano ad adempiere al mandato di difensore. Senza nemmeno un commento da parte della Corte e del Pubblico Ministero, che si sono limitati a rinviare tutto all’anno prossimo… E a chi dovrò rendere grazie di questo carcere comunque in più, e soprattutto per l’attesa delusa degli amici della Comunità Mondo Nuovo, che sulla mia semilibertà avevano preso impegni e fatto progetti? E se fossi stato un povero disgraziato, se avessi avuto una madre che aveva sacrificato la sua misera pensione per farmi assistere in aula da un avvocato, chi le avrebbe ridato, se non il figlio, almeno i soldi per tirare avanti? Certo una cosa da poco di fronte ai ben altri drammi del carcere e della Giustizia, ma forse anche un simbolo – come quella Grazia tolta anche di nome a un Ministero e un Ministro continuamente oscillanti tra favoritismi e repressione, complicità e discriminazioni – o forse proprio uno di quei minimi particolari dove appunto si svela il male e il malessere sempre più generalizzato di questa società.
P.s. Il bravo e generoso avvocato Limentani forse ci sconsiglierebbe di pubblicare questa lettera… ma permettimi di citare i Tischreden, dove proprio a proposito delle questioni della Grazia e della Redenzione è detto: “Non è tempo di tacere e temere, ma di gridare forte!”. Anche perché l’assenza del giudice non è stata causata da una qualche disgrazia – nel qual caso avrebbe avuto la nostra piena comprensione e solidarietà – e proprio oggi è stato visto qui a ispezionare reparti e sezioni del carcere. Una visita che temo non annunci nulla di buono.