Ci hanno provato in così tanti modi che alla fine sono riusciti a fare accadere l’irreparabile: il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha rassegnato le dimissioni e con lui tutto il governo ha fatto le valigie, abbandonando gli uffici di competenza, ma non solo quelli. Piangono la dipartita politica i responsabili dei talk televisivi, che proprio sulle alterne vicende di chi ha rappresentato il potere, democraticamente eletto, si sono sviluppati diventando il vero crocevia del dibattito e del confronto, che nella Prima Repubblica si svolgeva soltanto tra i banchi del Parlamento. Cosciente o no, a partire da Tangentopoli e con la discesa in campo di un imprenditore esperto in comunicazione televisiva, “l’animale politico” ha dovuto fare i conti con la telecamera e il proliferare degli spazi destinati ai protagonisti della scena istituzionale.
In questa rubrica abbiamo già dato i voti ai talk più popolari, ma ora tutto potrebbe cambiare, almeno fino alle prossime elezioni. Proprio come la democrazia, sostengono diversi analisti politici, ora anche l’audience dei vari Ballarò, Piazza Pulita, Ultima Parola, Otto e Mezzo, In onda, L’Infedele, Servizio Pubblico, In Mezz’ora, potrebbe essere sospesa. Potrebbero salvarsi “in corner” Porta a porta e quel che rimane di Matrix, visto che sono contenitori che si nutrono oltre che di politica anche di costume e spettacolo. L’ha già annunciato Bruno Vespa: «Vuol dire che mi butterò con più decisione sulla promozione dei film e sulla cronaca nera».
Ma allora dobbiamo dire addio al programma di approfondimento, che nell’era dello share estremo, doveva, volente o nolente, confrontarsi con il varietà e la fiction? In modo esauriente ha già risposto a Tempi.it il prof. Simonelli: non ci saranno più le grida del berlusconismo e dell’antiberlusconismo, non ci si scontrerà come guelfi e ghibellini, la politica non sarà più ridotta a tifo da stadio o ad un semplice spot. Lo schermo si “normalizzerà”. E allora, per chi considera la politica passione per l’umano, non ci sarà spazio?
Non credo, se il talk avrà il coraggio di ripensarsi come comunicazione culturale oltre che meramente partitica. Si, per esempio, al confronto tra non più di due/tre ospiti in studio: basta al “pollaio” (PierFerdy dixit) dove non c’è la possibilità di esprimere un concetto compiuto. Si alle inchieste sul campo, ai reportage: no alle Gabanelli, agli Jacona, ai Ruotolo; grandi professionisti, grandi narratori televisivi, d’accordo, ma che, abituati ad aggirarsi tra le contraddizioni dei poteri e delle caste, ammettiamolo, spesso “borderline” con l’illegalità, annegano nella scontatezza dei loro teoremi ideologici e lanciano messaggi disfattisti influenzando lo spettatore in un giudizio legittimo ma “parziale”.
Ecco il punto. Questi benemeriti spazi di approfondimento, in questi anni, si sono cristallizzati nella denuncia, ma non si sono aperti ad esperienze della realtà popolare che lavorano per rispondere al bisogno concreto della società. Insomma, il dito accusatore puntato fa annegare una positività che esiste, ma che non ha adeguata visibilità. È questo un equilibrio narrativo che bisognerebbe riconquistare, approfittando di questo momento di apparente calma dei toni politici urlati. Ma bisogna fare presto: fra qualche mese la politica si riprenderà la scena e ritorneranno ad azzuffarsi le fazioni, soltanto a parole, speriamo, e se la tivù non avrà sviluppato gli anticorpi, ci ritroveremo, come al solito, a dare le pagelle al conduttore spocchioso e al politico arrogante.