Sprechi nelle mense scolastiche. «Si mangia secondo l’educazione ricevuta»

Di Carlo Candiani
02 Aprile 2012
Circa 47 le tonnellate di cibo sono rifiutate dagli alunni delle scuole di Milano. Un problema di (mal)educazione alimentare spesso appresa in famiglia. Intervista a Roberto Chiesa, di Isan (Istituto per la sicurezza alimentare e la nutrizione), impegnato nel controllo della refezione scolastica. Perché non coinvolgere più scuole nell'opera del banco Alimentare?

Giovedì 29 marzo si è svolto a Milano un convegno dal titolo “La nutrizione tra gusto e salute nei menù scolastici” organizzato da Milano Ristorazione, la società controllata dal Comune che fornisce ogni giorno 75 mila pasti alle mense scolastiche della città. Il dato vergognoso, anche per i tempi di crisi che stiamo vivendo, è quello dello spreco: sono circa 47 le tonnellate di cibo che vengono rifiutate dagli alunni. Sotto osservazione sono finite le portate di verdure e di alcuni tipi di pesce. È un problema di qualità di cibo, della sua presentazione nei piatti o di una certa (mal)educazione alimentare? «Innanzitutto confermo i dati citati dalla stampa», commenta a tempi.it Roberto Chiesa, di Isan (Istituto per la sicurezza alimentare e la nutrizione), impegnato nel controllo della refezione scolastica. «Osservo la stessa situazione nell’hinterland milanese, anche se l’accettabilità dei pasti varia a seconda della realtà e del contesto: ogni singola classe, ogni alunno reagisce in modo diverso».

Esiste il problema della qualità del cibo e di com’è presentato nel piatto?
Se esiste questo problema non è strettamente legato al rifuto del bambino. Certo, i prodotti non sono di prima classe, ma le amministrazioni agiscono all’interno di una serie di capitolati che fissano i parametri di entrata delle materie prime.

Quindi assolve il lavoro di “Milano Ristorazione”?
Nel complesso sì, anche se a volte non raggiunge risultati egregi. È importante ricordare che il compito della ditta è preparare ogni giorno ben 75 mila pasti quotidiani, un impegno notevole. Problemi di presentazione ci sono e in questi incide negativamente il trasporto. Prendiamo un esempio eclatante: la pizza. È una portata che bisognerebbe mangiare appena sfornata, quando arriva in mensa ormai è gommosa, eppure i ragazzi non si fanno problemi a mangiarla, quando arriva in tavola è sempre una festa. È un esempio di come l’abitudine a un certo tipo di cibo sia più importante del suo effettivo valore nutrizionale.

Quindi entra in campo l’educazione alimentare dei ragazzi.
Esatto. Si mangia come si è stati educati a mangiare. Molti bambini non mangiano a mensa perché non fanno una buona colazione. Suppliscono a metà mattina rimpinzandosi di patatine, focacce, pizzette, se non addirittura panini. Sarà inevitabile, che a pranzo non abbiano fame. Il suggerimento sarebbe cominciare a fare una buona colazione al mattino e limitare il break della ricreazione ad un succo di frutta.

Fortunatamente, ci sono realtà di volontariato come Siticibo del Banco Alimentare che nell’ultimo anno, a Milano, ha recuperato e ridistribuito tonnellate di pane e di frutta, destinate a 58 mense ed enti assistenziali cittadini. Eppure le scuole milanesi interessate al recupero restano 90 su 400. Perché?
Per un motivo di sicurezza igienica: quando si lavora con il cibo e, soprattutto, quando lo si trasporta per le mense, è inevitabile che subisca contaminazioni. La benemerita opera di Siticibo funziona quando il cibo arriva sulla tavola della mensa, direttamente da una cucina interna della scuola stessa.

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