
Snowden, il solito film a tesi di Oliver Stone. Ma la tensione c’è

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Rievocazione della vicenda di Snowden, da promessa della Nsa a nemico pubblico numero 1 per il governo americano.
Film a tesi, come è solito fare Stone che ha costruito parte della sua carriera rappresentando un mondo diviso in due, buoni da una parte e cattivi dall’altra. Stone è così: prendere o lasciare, tenendo conto che, a 70 anni, ha ancora una gran mano e sa intrattenere come pochi.
Snowden è comunque più equilibrato di certi lavori del regista di Jfk. È diviso in tre parti. La migliore è quella narrata in flashback dove gli affetti privati di Snowden si intrecciano con il lavoro di analista per il governo. Tutto già visto, ma la buona prova degli interpreti (Joseph Gordon-Levit come Snowden e Rhys Ifans nei panni di un ambiguo funzionario governativo) garantiscono la tensione e fanno scattare qualche domanda.
Ci sono poi una cornice da giornalismo d’inchiesta, appena accennata e con tre buoni attori sottoutilizzati, e gli ultimi venti minuti carichi di quella retorica che Stone non riesce mai a evitare.
Snowden, di Oliver Stone
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