È da tempo un luogo comune sottolineare che l’ascesa geopolitica della Cina si è realizzata senza il ricorso alla potenza militare, ma solo attraverso la penetrazione economica e finanziaria; senza cioè interventi armati internazionali, basi militari all’estero e una flotta in grado di imporre una talassocrazia cinese. Ma non è del tutto esatto: una base militare cinese all’estero esiste (dal 2017) e proprio quest’anno è stata significativamente ampliata per poter accogliere portaerei e sommergibili nucleari.
Si tratta della base di supporto dell’Esercito popolare di liberazione (Epl) a Gibuti, una base portuale che insiste su di una superficie di 81 ettari e nella quale i cinesi stanno costruendo nove moli. Il secondo, lungo 200 metri, è stato completato alla fine dello scorso aprile e va ad aggiungersi al primo, lungo 320 metri, completato l’anno scorso. La base può ora accogliere le due portaerei di cui dispone la marina cinese, la sua più grande nave d’assalto anfibia e fino a quattro sommergibili nucleari.
L’hub militare del Corno d’Africa
Gibuti, ex colonia francese nel Corno d’Africa, si trova in una posizione strategica all’imbocco dello stretto di Bab el-Mandeb che separa il Golfo di Aden dal Mar Rosso, dove passa un terzo di tutto il traffico commerciale marittimo mondiale. La Cina non è l’unico paese ad avere una base militare in quella che era di fatto la Somalia francese, un piccolo stato grande come la Sicilia e popolato da 1 milione di abitanti: ci sono gli americani con Camp Lemonnier, che è la più grande base Usa in Africa, c’è la base navale francese di Héron bissata da una base aerea, c’è un insediamento delle forze di autodifesa giapponesi, c’è da poco una base saudita e ci sono pure gli italiani, con la Base militare di supporto Amedeo Guillet, operativa dal 2013.
A parte i francesi, da sempre presenti militarmente nel paese africano, tutti gli altri hanno concordato col governo locale la creazione delle loro basi come punti di appoggio alla lotta contro la pirateria nell’Oceano Indiano e ad operazioni antiterroristiche in Somalia e in altre aree del Corno d’Africa. Anche la Cina, le cui navi mercantili hanno sofferto episodi di pirateria, ha giustificato la creazione della base con la necessità di supportare le sue truppe presenti in missioni Onu in territorio africano e di contrastare la pirateria nel Golfo di Aden, e ha sempre negato che dietro la sua creazione ci sia un disegno di natura egemonica.
Una minaccia per gli Stati Uniti
Non la pensa così il generale Stephen J. Townsend, comandante di Africom, il Comando combattente unificato delle operazioni militari Usa in tutta l’Africa. In interviste all’Associated Press e in audizioni alla Commissione per le forze armate della Camera dei Rappresentanti ha lanciato l’allarme sul fatto che la Cina sta negoziando con la Tanzania la creazione di un’altra base militare portuale a Bagamoyo (sulla costa di fronte a Zanzibar) e soprattutto ha sondato molti paesi africani della costa atlantica («dalla Mauritania alla Namibia») per avviare la costruzione di una base navale pure in Africa occidentale.
Non si tratta di notizie inedite. Nel suo rapporto annuale al Congresso “Military and Security Developments Involving the People’s Republic of China” dell’anno scorso (pubblicato l’1 settembre 2020) il ministero della Difesa degli Usa scrive: «Al di là della sua attuale base a Gibuti, molto probabilmente la Cina popolare sta già considerando e pianificando ulteriori strutture logistiche militari all’estero a supporto delle sue forze navali, aeree e terrestri. Probabilmente la Cina popolare ha preso in considerazione location per strutture militari logistiche in Myanmar, Thailandia, Singapore, Indonesia, Pakistan, Sri Lanka, Emirati Arabi Uniti, Kenya, Seychelles, Tanzania, Angola e Tagikistan». E più avanti: «Alcuni progetti della Nuova Via della seta potrebbero creare potenziali vantaggi militari per la Cina popolare, come l’accesso dell’Epl a un selezionato elenco di porti stranieri ove preposizionare la necessaria logistica di supporto per sostenere dispiegamenti navali in acque lontane come l’Oceano Indiano, il mare Mediterraneo e l’Oceano Atlantico, al fine di proteggere i suoi crescenti interessi». È evidente che una base aeronavale cinese sulla costa atlantica dell’Africa rappresenterebbe per gli Usa una minaccia molto più diretta di quella costituita da basi in Africa orientale.
Cina, una proiezione di potenza
La Cina, come detto sopra, ha sempre negato che la base a Gibuti sia funzionale a una proiezione di potenza. In un articolo pubblicato nel settembre 2020 sulla rivista militare Sina Military si legge: «Il principale scopo della base (di Gibuti – ndt) è di fornire una garanzia effettiva alla partecipazione della Cina a missioni di scorta, mantenimento della pace, soccorso umanitario e di altro genere nel Golfo di Aden e nelle acque somale, in modo che la marina cinese possa migliorare le sue prestazioni in missioni di cooperazione militare, esercitazioni congiunte, addestramento, evacuazioni e protezione di cittadini cinesi all’estero, soccorsi di emergenza, (e possa – ndt) adempiere i suoi obblighi internazionali legati allo status di grande potenza, cooperando con tutte le parti per mantenere la sicurezza delle vie d’acqua internazionali strategiche e insieme ad altri mantenere la pace e la stabilità in Africa e nel mondo».
Tuttavia nel maggio del 2019 il generale e docente universitario Jin Yinan ha affermato nel corso di una trasmissione radiofonica che la base di Gibuti rappresenta «la più grande realizzazione della marina cinese», perché garantisce all’Epl «capacità di proiezione di potenza» nel confronto con altri stati.
Pechino finanzia la crescita di Gibuti
Sta di fatto che dopo la creazione della sua base navale la Cina ha completamente trasformato i suoi rapporti economici con Gibuti: l’interscambio commerciale, che nel 2000 era pari a 10,4 milioni di dollari, nel 2019 è arrivato 1,1 miliardi di dollari. La Cina è diventata nel giro di pochi anni il primo fornitore di Gibuti (36,3 per cento dell’import del paese), benché sia solo il quinto mercato estero delle merci gibutine. Oggi la Cina detiene il 70 per cento del debito estero di Gibuti, e partecipa a tutti i suoi progetti strategici, in particolare alle infrastrutture di una zona franca commerciale del valore di 3,5 miliardi di dollari e alla gestione di una ferrovia lunga 752 km da 3,4 miliardi di dollari che unisce Gibuti all’Etiopia. Quest’ultimo progetto dà problemi, poiché a causa dei profitti inferiori alle attese il governo gibutino ha dovuto chiedere a quello cinese di riscadenziare la restituzione dei prestiti sottoscritti per realizzarlo.
La base militare cinese di Gibuti ospita 2 mila uomini, comprese alcune centinaia di unità di truppe d’assalto. Non dispone di una pista adeguata per il decollo di cacciabombardieri, ma possiede un’ampia infrastruttura sotterranea il cui uso non è noto.