Si domandò di cosa fossero fatte le stelle
Difficilmente un uomo impara ciò che crede già di sapere. E difficilmente è portato a porsi delle domande, anche di fronte al terribile o al meraviglioso, se ritiene di avere già una risposta.
Commentando le immagini del James Webb sul Giornale Massimiliano Parente ha scritto che si tratta di fotografie «terrificanti». Lo sono perché ci rivelano la nostra infinita piccolezza, e come dargli torto.
Stiamo parlando di «una fotografia che occupa lo spazio nel cielo di un granello di sabbia, e in cui si vedono galassie la cui luce è partita tredici miliardi di anni fa, poche centinaia di milioni di anni dopo il Big Bang».
Dove?
La meraviglia si mescola così con la consapevolezza che «tutto è nulla, solido nulla», per dirla alla Leopardi, perché ogni nuova scoperta scientifica ci rivela la nostra inconsistenza, scrive Parente. Abbiamo scoperto che il sole non gira intorno alla Terra, che non esiste solo una galassia ma milioni, anzi miliardi, «ognuna delle quali con centinaia di miliardi di stelle e di pianeti. Perché, nel frattempo, negli ultimi venti anni, siamo riusciti a vedere anche pianeti (esopianeti) vicino alle stelle più vicine. Ne contiamo ormai più di quattromila».
Darwin ci ha spiegato che siamo «una specie animale come le altre, che vive da duecentomila anni su quattro miliardi di anni di vita su questo pianeta. Poi abbiamo capito che la nostra galassia è una tra miliardi». E il nostro scrittore conclude amaramente con una domanda sberleffo: «Quando muore un vostro caro dite ancora “è andato in cielo”. Dove?».
Perché?
Ma la domanda più pressante non è questa. Questo è un escamotage intellettualistico per eludere la vera questione che non riguarda il “dove”, ma il “perché”. «Vanità, tutto è vanità», diceva l’Ecclesiaste ben prima del nostro scrittore. Cosa siamo noi di fronte a tredici miliardi di anni luce? Cosa siamo noi, homo sapiens sapiens, che se immaginassimo la storia della Terra come un anno solare, saremmo comparsi solo nell’ultimo quarto d’ora del 31 dicembre?
E vogliamo forse parlare della nostra singola esistenza – proprio la nostra, col nostro nome e cognome – che non sarebbe nemmeno un briciolo di millesimo di nanosecondo dentro quel quarto d’ora? Se siamo qui è una straordinaria e improbabile serie fortunata di eventi. Quindi la domanda è: perché?
Le orde di stelle fredde
Verranno altri telescopi James Webb e altre scoperte e ogni volta sarà un inabissarsi a tentoni dentro questo mistero, un rendere ancor più piccolo, minuscolo, microscopico il nostro passaggio in questo teatro che chiamiamo vita. Ma dire che esso è «insignificante» è un’opzione. Un’opzione che è un torto a quella ragione di cui questo piccolo, minuscolo, microscopico uomo è dotato. Se siamo “solido nulla” figli del caso, perché ci siamo? E, soprattutto, come può questo nulla chiedersi il motivo del suo esserci?
Come fa il protagonista di uno dei romanzi più crudi di Cormac McCarthy, Lester Ballard, stupratore, assassino e necrofilo: «Quando i pipistrelli se ne furono andati, restò a guardare le orde di stelle fredde disseminate lassù nella cornice del buco, e si domandò di cosa fossero fatte, e di cosa fosse fatto lui». Il romanzo si intitola Figlio di Dio.
Foto Ansa
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