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Se basta un manifesto a mettere a nudo l'ideologia del Pd

Oggi certe verità fattuali gettano nel panico l’establishment politico dei paesi liberaldemocratici così come la più piccola delle verità gettava nel panico le nomenklature comuniste

Rodolfo Casadei
08/04/2018 - 0:30
Interni
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«Nel comunismo come nella liberal-democrazia incontriamo la stessa peculiarità: ciò che è incidentale viene trattato come un problema sistemico, il che significa che tutto quello che accade è sistemico e nulla è incidentale nel sistema. Pertanto diventa naturale per i veri liberal-democratici – come lo era per i veri comunisti – perseguitare i loro colleghi a causa di un commento occasionale, o di una mancanza di vigilanza, o per una battuta inappropriata, rendendo la vita difficile alle persone indisciplinate con continue ammonizioni e creando nuove regole e leggi più severe. Facendo ciò, gli autoproclamati guardiani della purezza vedono se stessi come coloro che portano sulle proprie spalle il futuro della liberal-democrazia in tutto il mondo. Se non fosse per il loro sforzo e la loro dedizione, questa grande intrapresa politica, pensano, conoscerebbe battute d’arresto, e questo non sia mai detto. Come in ogni sistema costruito sulla violenza e sulle bugie, nel comunismo questa convinzione un po’ paradossale nella contemporaneità di invincibilità e vulnerabilità poteva essere facilmente spiegata. Si avvertiva che anche solo pochi pensieri e idee veri, una volta riconosciuti pubblicamente come tali, avrebbero messo a nudo la falsità dell’intero sistema e infine lo avrebbero fatto cadere. Anche i più illusi sostenitori del sistema sapevano che la verità era il suo più potente nemico. Ed è stata la verità in senso quasi letterale a farlo crollare. In una liberal-democrazia questo modo di vedere le cose sembra assurdo, perché il sistema è stabile e il principio della libertà di parola è iscritto nella Costituzione. Ma coloro che danno la caccia alla scorrettezza politica e lavorano al rafforzamento della correttezza politica credono o forse inconsciamente pensano che la stabilità del sistema non è così forte come ingenuamente si crede, che la libertà di parola non è così priva di problemi come certi malintenzionati ritengono che sia». (R. Legutko, The Demon in Democracy – Totalitarian Temptations in Free Societies, pp. 103-104).
Con una sorta di ingenua incredulità, molti hanno commentato che la richiesta della senatrice Monica Cirinnà (Pd) di rimuovere il manifesto anti-aborto fatto affiggere dall’associazione Pro Vita in una via di Roma e la successiva decisione del sindaco Virginia Raggi (Cinque Stelle) di toglierlo effettivamente non sono in alcun modo giustificabili, perché il manifesto non offendeva o attaccava nessuno, ma esponeva delle verità di fatto. Intorno all’immagine di un feto c’erano infatti scritte le seguenti frasi: «Tu eri così a 11 settimane… Tutti i tuoi organi erano presenti. Il tuo cuore batteva già dalla terza settimana dopo il concepimento. Già ti succhiavi il pollice. E ora sei qui perché tua mamma non ti ha abortito». Il motivo che ha messo in crisi il fronte abortista e per cui è stata chiesta e ottenuta la rimozione del manifesto è proprio questa: che esponeva delle verità di fatto. Non attaccava la legislazione che ha legalizzato l’aborto in nome di princìpi morali, o con argomentazioni politiche, filosofiche o religiose. Semplicemente esponeva delle verità fattuali. Oggi certe verità fattuali gettano nel panico l’establishment politico dei paesi liberaldemocratici così come la più piccola delle verità, se pronunciata in pubblico, gettava nel panico le nomenklature dei paesi comunisti. Ryszard Legutko, professore di filosofia polacco ed europarlamentare del partito Diritto e Giustizia, ha vissuto sotto entrambi i regimi politici, ha notato le crescenti somiglianze fra il comunismo degli anni Sessanta-Ottanta e la liberal-democrazia nel Terzo Millennio, e ci ha scritto sopra il libro illuminante da cui è tratta la citazione che abbiamo proposto in apertura.
L’allergia per la verità che conduce la liberal-democrazia d’oggidì alla censura in un modo che assomiglia sempre di più a quello che ieri faceva il comunismo, illumina la natura dei due sistemi: entrambi sono di natura ideologica. La liberal-democrazia odierna pretende di presentarsi come un sistema neutro, una cornice istituzionale che permette lo svolgimento della vita politica in termini pluralistici. In realtà la crescente intolleranza dei sedicenti liberal-democratici per tutto ciò che contraddice la loro visione del mondo è la prova che non siamo davanti a un sistema che garantisce vera libertà non più di quanto, riguardo al comunismo, fossimo davanti a un sistema che garantiva vera uguaglianza. Altri indizi di un’affinità non casuale e non incidentale fra comunismo e liberal-democrazia odierna balzano agli occhi. L’egualitarismo, ideologia che piega le realtà fattuali e morali alle proprie astrazioni politicamente interessate, è migrato dal comunismo alla liberal-democrazia. In Italia il Partito Democratico nel quale milita l’intollerante Cirinnà discende attraverso due passaggi storici (Pds e Ds) dal Partito Comunista Italiano (Pci).
Alla fine degli anni Ottanta Augusto Del Noce scrisse che, aderendo alle campagne per i “diritti civili” promosse dal Partito Radicale, il Pci avrebbe perso non solo i suoi contenuti ideologici marxisti, ma anche la sua anima popolare, e sarebbe diventato un Partito Radicale di massa. È esattamente quello che è successo: oggi il vecchio Pci si chiama Partito Democratico e in economia è liberista, mentre sulle questioni bioetiche e della famiglia è liberal. L’unica discrasia rispetto alla profezia delnociana sta nel fatto che non è più esattamente di massa: il 19 per cento delle ultime elezioni stride col 34 per cento che il Pci di Enrico Berlinguer toccò nel 1976.
Mentre l’intolleranza e la censura della libertà di espressione che caratterizzano i partiti liberal-democratici odierni non possono non allarmarci, ci conforta la constatazione che l’estrema suscettibilità di fronte a una circoscritta provocazione è sintomo di debolezza. Come nel socialismo reale la minima manifestazione di dissidenza incontrava feroce repressione perché il potere era consapevole che la più piccola verità contraddittoria rispetto alla propaganda poteva fare crollare il regime, così nella liberal-democrazia in deriva totalitaria la crescente intolleranza verso i dissenzienti soprattutto sulle questioni che riguardano sesso e famiglia fa presagire l’imminenza di un tracollo. Che in un paese di 60 milioni di abitanti grande 300 mila chilometri quadrati un singolo manifesto provochi reazioni isteriche, violenza verbale e un atto illiberale come quello di ordinare l’eliminazione dello stesso, è il segnale della fragilità dell’edificio del politicamente corretto. A furia di allargarsi e di alzarsi in altezza, comincia a scricchiolare.
Aspettiamoci un crescendo di intimidazioni, soprattutto a causa del fatto che in Italia i dissidenti sono pochi, i complici interessati del potere tanti, la subalternità culturale crescente. In realtà basterebbe un po’ di intransigenza nella difesa della libertà di espressione per ridurre a più miti consigli i neo-totalitari. E un po’ di coraggio nel continuare a pronunciare in pubblico le verità fattuali che danno fastidio ala cultura dominante. Oggi dire che siamo tutti figli di un padre e di una madre, o che ciascuno di noi prima di nascere era un feto che poteva contare solo sull’accoglienza del grembo in cui è stato concepito, è diventato più rivoluzionario della Dichiarazione di indipendenza americana o del giuramento della Pallacorda.

@RodolfoCasadei


Foto Ansa

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