L’ascensore, un non-luogo che provoca disagi. C’è chi entra e pigia il tasto che lo porta al suo piano senza chiedere cortesemente agli altri momentanei compagni di viaggio, chi guarda in su e poi in giù per non scontrare lo sguardo altrui, chi si sente in dovere di chiacchierare del tempo atmosferico. La cosa positiva è che questa leggera tortura dura pochi minuti. Una ricercatrice di scienze cognitive, Rebekah Rousi, australiana, ha invece affrontato la questione molto seriamente, e ha condotto uno studio etnografico su due ascensori dei due palazzi più alti per uffici, nella città di Adelaide. E ha annotato nel suo studio le abitudini di tutti quelli che ne usufruivano.
MOSSE STRATEGICHE. Secondo lo studio, chi si mette nelle ultime “file” è anziano. «Davanti a loro c’erano tutti uomini più giovani, mentre le donne si mettono nelle file ancora più avanti, direttamente di fronte alle porte». La ricercatrice ha appunti da fare sopratutto sulla questione del contatto visivo. «Gli uomini guardavano i monitor dove sono segnati i piani, o gli schermi nei quali erano trasmesse le immagini delle telecamere a circuito chiuso. Le donne invece cercavano accuratamente di evitare gli specchi e lo sguardo di altri presenti nell’ambiente». Perfino dove ci si mette all’interno dell’ascensore ha un suo perché, dice la ricercatrice. «Chi è più timido si mette vicino all’uscita, di modo da non dover guardare nessuno se non le porte. Chi è più audace si mette dietro agli altri, perché può in questo modo tenere la situazione sotto controllo». E voi che pensavate che rispondere alla domanda “a che piano?” fosse una cosa semplice.