Fratello embrione, sorella verità. Ci piace la sintesi del professor Angelo Vescovi: è colpa mia se non sono soltanto una scimmia? è colpa mia se sono un uomo dotato di ragione e non mi basta dire soltanto quello che vedo – un ricciolo di materia grande come una capocchia di spillo -, ma devo dire anche quello che so? E cioè che l’embrione non è un pasticcio, non è solo ‘roba umana’ come lo può essere il sangue o una delle mie ciglia – come dice Emma Bonino alle signore che vanno dal parrucchiere -, no, sei proprio tu, sono proprio io, all’inizio di tutta l’avventura?
Fratello embrione, sorella verità. è colpa mia se non posso aderire al gioco che prevede tutti i diritti, tranne quello di quella cosa là, ricciolo di materia muta e paziente? Mi dispiace, mi spiace per i sofisti, i gorgia, i voltafrittata, per la chiesa di destra e di sinistra, che vorrebbe portare la Terra sulle nuvole. Mi dispiace, alle espressioni linguistiche ricche di suggestioni emotive – ‘Vatican Taliban’, ‘oscurantisti’, ‘oppressori del corpo delle donne’ – io rispondo stando ben piantato sulla terra con fratello embrione e sorella verità.
Noi non abbiamo fatto e non stiamo facendo nessuna crociata. è colpa nostra se a domanda di manipolazione, selezione e uccisione, rispondiamo: guarda che l’embrione appartiene alla realtà non alla fantasia, alla fiction, ai sogni o ai desideri? Se non parti dai fatti, che laico, che galileiano, che illuminista sei come chiede Barbara Spinelli?
Voi dite che i fatti sono cretini e che ci vuole il microscopio per vederli. Perciò, dite, è l’intelligenza scientifica e quella delle donne che devono decidere. Però la scienza che non ciurla nel manico ti ha già ricordato che non solo è un’operazione furbetta, ma pure un po’ goebbelsiana quella della vita umana come processo. Una logica per cui, sofisticheggiando sull’atto e la potenza, si fa presto a dimostrare che un embrione vale meno di un feto, un feto meno di un bambino, un bambino meno di un adulto e un adulto ebreo meno di un adulto ariano.
Quanto alle donne, non lo diciamo noi, ma lo dice, per esempio, l’Alto Consiglio della Popolazione e della Famiglia dello Stato francese, che la liberalizzazione alla fecondazione per via medicalmente assistita si è rivelato un disastro che «pone un problema di sanità pubblica» e «minaccia la salute dei bambini e delle madri». Sono problemi seri, no? Chi dite che vuole opprimere? Quelli che adottano nei riguardi dell’embrione e del corpo delle donne almeno la stessa precauzione che si usa per le melanzane e le bistecche ogm, o quelli che il corpo delle donne lo vogliono trasformare nel più straordinario laboratorio sperimentale del XXI secolo?
Ci sentiamo come quello che va al bar, è un po’ abbacchiato, ha di fianco la Prestigiacomo, Fini o Capezzone, e dice tra sé e sé sconsolato: «Sono un cretino». E quello: «è sicuro o vuole che facciamo un referendum?». Se l’Espresso fosse come il suo barzellettiere Altan la prossima copertina con la Ferilli, Veronesi o Jovanotti, potrebbe farla con uno spot molto intelligente, tipo: «L’ho scritto e firmato: se muoio, voglio essere reincarnato. Magari nel fidanzato di Kim Basinger».
Sapete cosa c’è di nuovo? I relativisti sono nervosi con questi cittadini che approvano la legge 40 – e perciò si asterranno da un referendum che non condividono e reputano sbagliato. Loro vogliono farci credere che, poiché non esiste una verità e tutte le opinioni sono legittime, ci sono verità (le loro) che sono più vere di quelle degli altri; e opinioni (le loro) che sono più legittime delle altre. Il relativismo naturalmente è una barzelletta che finisce in intolleranza, un po’ come direbbe un volterriano (un po’ come è stato scritto dello storico Vivarelli su un giornale volterriano) «Io razzista? Ma quando mai, sei tu che sei negro».
No, non c’ è nessuna miserabilità, non c’è nessuna frode della Costituzione, nessun dovere violato nell’astensione da un referendum. Non fu miserabile Pannella che nel 1985 chiese l’astensione sulla scala mobile. Né Bertinotti nel ’99 sull’abolizione del proporzionale. Né Fassino nel 2003 sull’articolo 18. Semmai c’è chi ha paura del dialogo a partire dai dati di fatto. Semmai c’è chi ha paura – una paura matta – della realtà. E così, mosso da questa paura e da un inspiegabile risentimento rispetto al dato effettuale, non avendo sufficienti ragioni, strepita, divaga, parla d’altro. Perciò salutiamo con un brivido lungo la schiena ma rendendo onore a chi abbiamo contribuito a stanare, a uscire dagli eufemismi, chiacchiericcio sentimentale, e finalmente vuotare il sacco: Carlo Flamigni, il pioniere dell’eugenetica in Italia, che a Repubblica ha dichiarato: «La vita inizia quando la donna decide che è iniziata».
Adesso ci manca solo Benigni, la vita è bella. Ma la vita inizierà nello zigote o dopo che ha smesso di farsi la pipì addosso, di non essere autocosciente, di non rompere le balle piangendo di notte? E se va male in biologia cosa facciamo? Revochiamo la decisione, il visto di soggiorno, prendiamo i medici, gli scienziati e i giornalisti e gli facciamo dimostrare che, per carità, siamo esseri umani e così ogni tanto anche la donna può sbagliare, non è iniziato un bel niente (sai tra la potenza e l’atto c’è di mezzo tanto mare come dice Sartorius) e perciò, fuori dai piedi, riduciamola in cenere, no anzi – come invitava a perifrasare il ministero della propaganda di Goebbels – «concediamogli una morte per grazia»?
Sono almeno due anni, non da oggi, che cerchiamo di studiare e di parlare seriamente (dico noi di Tempi e soprattutto il Foglio) degli annessi e connessi di una delle poche leggi serie di questa Repubblica. La numero 40, tra le poche che hanno visto un dibattito approfondito e hanno coinvolto studiosi e scienziati della materia. Continuiamo a parlarne per le ragioni fisiche, politiche e referendarie di cui credo ci racconteranno i nostri amici Giuliano e Giancarlo.
(intervento di Luigi Amicone
al convegno ‘Fratello Embrione, sorella verità’, Milano, 14.5.05)