Sacrosanta l’opzione per “gli ultimi” ma perché trascurare i penultimi?

Di Renato Farina
03 Febbraio 2019
Le prediche natalizie sono state tutte dedicate ai migranti. Possibile non accorgersi degli operai dell’undicesima ora, quelli a cui la globalizzazione ha tolto tutto, anche l’identità?

Vorrei che questo anno fosse dedicato a chi oggi è più ultimo degli ultimi. E chi sarebbe? Il penultimo. Nella Bibbia l’ultimo dei figli di Giacobbe è Beniamino. Non pare sia stato molto trascurato, e anche nel sentire popolare significa il cocco, il tirabaci. I primogeniti sono – a parte Esaù, ma per stupidità sua – dei privilegiati. Sono quelli in mezzo a essere privati di considerazione. Chi ha tre figli interroghi e si interroghi sul secondo. È il più trascurato. Noi molokani che in media godiamo di una prole numerosa come le uova di una covata è bene che consideriamo l’undicesimo.
Si cita sempre il Santo Evangelo a proposito del privilegio da accordare agli ultimi. E sta bene. Persino il Giro d’Italia a lungo ha premiato la maglia nera. Il penultimo era il vero sconfitto. Battuto anche per il trofeo all’incontrario, comunque dotato di una strana gloria. Durante le prediche natalizie, con i relativi proponimenti affidati ai fedeli, si è insistito su questa definizione: “gli ultimi”. Nulla da dire. Rilevo che il termine ha sostituito quello più vasto e antico di “poveri”. Non ne faccio una questione nominalistica, ma dietro le parole si celano spesso delle trappole. Ultimo nel Vangelo si riferisce ad esempio agli apostoli. Devono farsi ultimi. Non ha un connotato sociologico. Mentre ora è identificato prettamente così: come una categoria socio-economica, individuata all’unanimità nei migranti, i quali sono parlando sociologicamente gli ultimi in Italia ma molte miglia avanti e innumerevoli posizioni di classifica di vantaggio rispetto a chi in Africa non è immigrato, perché non ne ha la forza e i mezzi.
Ehi, non dico che i giovanotti con il cappello fuori dalle panetterie siano dei privilegiati, non sono mica scemo. Ma almeno essi sono infilati in tutti i presepi parrocchiali, indicati come destinatari di sostegno e i cui bisogni devono essere i primi a trovare risposta. Concordo. Guai a lasciare senza cibo e senza amore chi ha abbandonato tutto. Eppure mi permetto di individuare una categoria più dimenticata di quella degli ultimi, specie nelle prediche e indicazioni pastorali. Parlo – l’avrete capito dal titolo – dei penultimi.

FOTTUTI E PURE DISPREZZATI

Non è vero anzitutto che il Vangelo non ne parli. Qualcuno ricorderà la parabola degli operai. Gesù ci invita a pagare bene quelli della penultima ora, l’undicesima. Non sono quelli della dodicesima ora, i disoccupati, gli esclusi. Sono quelli inseriti nella società, ma visti come privilegiati da tutti gli altri, considerati inetti perché non hanno scalato la gerarchia sociale. Sono il ceto medio proletarizzato, su cui ha infierito la crisi e a cui la globalizzazione ha tolto tutto, anche l’identità di classe, le certezze e l’orgoglio di un lavoro modesto ma in cui versavano i loro talenti artigiani od operai. Fottuti, sono stati fottuti. E vedono le attenzioni di tutti coloro che erano riferimento morale e religioso della loro vita non accorgersi di loro. La sinistra li considera feccia ormai catturata da sentimenti fascistoidi, incapace di comprendere che le due emergenze sono gli immigrati e l’ecologia, e loro invece no, sono cattivi, perché sbagliando guardano male i rom perché la loro nonna è stata derubata dagli zingari. Questa tendenza ha afferrato anche la Chiesa e le sue preghiere ufficiali.
Mi colpisce molto ad esempio che nella liturgia ambrosiana, quella con il cuore più magnanimo di tutte, la preghiera dei fedeli nella giornata dei Santi Innocenti sia stata tutta quanta dedicata ai migranti. Sono loro i perseguitati, certo. Ed è certo peccato mortale non vederli intorno a sé come fece il samaritano che versò vino e olio sulle ferite di chi era stato bastonato e rapinato dai banditi.
Eppure, possibile che non ci si accorga di come nei palazzoni dell’hinterland ci sia un bisogno enorme di tenerezza e di sostegno contro i briganti della finanza e del mondialismo multiculturale, che preferiscono l’immigrazione come garanzia dello sbiadirsi di qualsiasi cultura e segno religioso cattolico, magari superficiale? Signori vescovi, chi vi dà il diritto di spegnere una fiammella fumigante? Trattateli almeno come musulmani, aprendovi al dialogo con i penultimi, dalla fede farisaica, biascicante, sventolanti i rosari, usati indebitamente come fruste, ed è una pena, eppure sono stati vostri figli, e forse lo sono ancora. Ma sono i penultimi, e forse nella vostra testa sono gli ultimi perché li disprezzate.

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