Romanzo di una strage, «per la prima volta Calabresi è l’eroe buono»
«Quando ci fu quella bomba avevo 11 anni. Fino alla mia generazione eravamo cresciuti con film e modelli che contrapponevano i buoni ai cattivi: i western, Tex Willer, Capitan Miki… Siamo cresciuti con la certezza morale che i buoni stavano sempre dalla parte dello Stato. Piazza Fontana ruppe queste certezze». I ricordi di Michele Brambilla s’intrecciano alle sue impressioni sul film di Marco Tullio Giordana, Romanzo di una strage. Il giornalista della Stampa era poco più che un bambino all’epoca, ma tutto ciò che seguì quel 12 dicembre 1969 è divenuto poi un pezzo della sua vita: prima come giornalista del Corriere della Sera, quando seguì il processo sul delitto del commissario Calabresi; poi come autore di due libri relativi a quegli anni, Dieci anni d’illusioni e L’Eskimo in redazione. A tempi.it ha spiegato il suo punto di vista sulla pellicola, in uscita stasera nelle sale italiane.
Brambilla, questo film pare quasi una svolta storica: finalmente si parla di questo episodio della storia italiana con elementi provati. Le è piaciuto?
Sì, molto. Rispetta ciò che è stato possibile ricostruire dalla magistratura. Ci son stati depistaggi, ostruzionismo, imputati fatti scappare all’estero… Non si è potuto punire i colpevoli, e ci sono ancora tante cose oscure, ma il quadro delineato dal film è chiaro: a mettere la bomba furono i veneti di Ordine Nuovo, con la collaborazione dei servizi segreti, e con una partecipazione degli anarchici, ancora non si sa se strumentalizzati o usati come specchietto per le allodole. Certo, il film lascia aperti ancora alcuni punti, come quello relativo all’esecutore materiale della strage: Sottosanti, il neofascista che assomigliava a Valpreda, aveva un’alibi che ha tenuto, e quindi non è stato mai processato. Si è ipotizzato allora su altri sosia di Valpreda, che, dal canto suo, va ricordato come non sia mai stato assolto con formula piena. Cioè l’hanno assolto per elementi insufficienti, ma con una condanna per associazione sovversiva, e sua zia, che lo aveva coperto con un’alibi, è stata condannata per falsa testimonianza. Insomma è un caso complesso. Ma ciò che il film mette bene in luce è che in quel periodo, in un mondo diviso in due, c’era in Italia qualcuno che voleva favorire una svolta autoritaria a destra, favorendo attentati per spaventare la gente. Ed è assodata la colpevolezza dei servizi segreti italiani nel favorire questi delitti.
Quanto è importante avere un film che ci racconti questo capitolo della nostra storia?
Tanti giovani non sanno nulla di quella strage, e il mondo è cambiato: non ci sono più due blocchi, il rischio del comunismo… Ma questa storia va conosciuta. È stato l’inizio di una stagione dolorosa per l’Italia, la prima di tante bombe.
[internal_video style=”height: 239px; width: 357px; float: left; margin-right: 10px; margin-top: 5px;” vid=24537]C’è qualche personaggio che le sembra ricostruito con particolare precisione? Insomma, anche a 40 anni di distanza, dopo che sono uscite diverse verità su tanti protagonisti, non è facile arrivare a delle immagini chiare.
I personaggi li ho trovati tutti ricostruiti bene, anche se so che la famiglia Calabresi non ha riconosciuto pienamente in Mastrandrea il commissario: era una figura molto più solare, che amava stare in compagnia, scherzare… Nel film invece non sorride mai. Ho chiesto a Giordana il perché, e lui mi ha risposto che voleva dare l’immagine di un uomo al centro di una tragedia più grande di lui, voleva dare l’idea di tutto il suo travaglio. Ma gli altri mi sono sembrati ben fatti: io avevo conosicuto Nozza, Valpreda, ho intervistato Freda… Mi sono ritrovato negli attori. Strepitoso poi è Moro: è la figura più commovente del film. Si vede quanto prendesse seriamente il suo ruolo di politico, conciliato con la sua fede… Non aveva solo un grande senso di stato, ma anche un’umanità straordinaria, e conosceva bene la sua responsabilità verso il popolo.
Oltre a tanti applausi, il film ha ricevuto anche diverse critiche. Fa specie ad esempio vedere come manchi quasi del tutto la campagna d’odio di Lotta Continua contro il commissario Calabresi, o il manifesto de L’Espresso…
È vero, la campagna di Lc sfugge un po’ via. Quando chiesi a Giordana il perché, mi rispose che aveva voluto fare un film su Piazza Fontana, non sull’omicidio Calabresi. Va detto però che il finale lascia intendere che Calabresi sia stato ucciso dai servizi segreti. Il regista vuole lasciare aperto ogni scenario: è evidente che lui non crede che il commissario sia stato ucciso da Lotta Continua.
A vedere come è lasciato aperto questo finale, viene credere che tutto quanto è seguito a quella strage (quindi, tutta la cronaca degli anni di Piombo) possa essere riportato alla stessa matrice occulta. Non le sembra che sia proprio questo l’errore che si fece 40 anni fa
Questo è un limite culturale della sinistra: non vuole riconoscere la possibilità del peccato originale nelle proprie fila. Loro sono i migliori, e in questo non ci devono essere cedimenti: «È impossibile che qualcuno di noi abbia sbagliato». Pensano di essere come la Madonna: non si riconosce la possibilità di un male nato al suo interno. Ovvio, questa critica non può essere generalizzata. Ma vorrei sottolineare anche un’altra cosa, cioè che questa pellicola è fatta da un regista di sinistra, e per la prima volta il commissario Calabresi è presentato come l’eroe buono: è una cosa rivoluzionaria. Si fa vedere che Pinelli era una vittima, ma anche che nel suo circolo anarchico girava di tutto. Quindi si capisce finalmente che è lecito il sospetto di Calabresi, che di fronta a una bomba va a prendere Pinelli per interrogarlo. Queste cose anni fa non c’erano: Pinelli era solo santo, una vittima di Calabresi.
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