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Home Giustizia

Referendum sulla giustizia. Perché firmeremo

Cos'altro deve succedere per cercare di mettere un freno all'invadenza di certi giudici? Mottarone e Mori gli ultimi casi. Proviamoci, almeno

Emanuele Boffi
09/06/2021 - 3:00
Giustizia, Interni
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magistrati, inaugurazione anno giudiziario

Un amico ci chiede: voi di Tempi firmerete per i referendum sulla giustizia promossi da Radicali e Lega? Risposta rapida: sì, lo faremo. Nel merito dei quesiti (responsabilità civile dei magistrati, separazione delle carriere, abrogazione della legge Severino, limitazione della custodia cautelare, abolizione dell’obbligo di raccolta firme per i magistrati che vogliono candidarsi al Csm, diritto di voto per i membri non togati nei consigli giudiziari), avremo modo di ritornarci. Al momento diciamo solo: che altro deve succedere per non provare a dare una scossa a una classe politica che sulla questione tergiversa da troppi anni?

Non siamo dei pasdaran dello strumento referendario (anzi), ma se questo può servire, perché no? Sempre meglio che non fare niente o fare le cose a metà (come ci pare essere la cosiddetta “riforma Cartabia”).

Lasciamo per un attimo da parte i casi recenti (Palamara, Davigo-Amara) e i molto recenti (Ilva, Uggetti) e passiamo ai “recentissimi”, cioè quelli accaduti ieri – ogni giorno, come dice l’adagio, ha la sua pena.

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La funivia del Mottarone

Caso numero uno. «Siamo il Paese nel quale la giustizia rinnega se stessa dopo aver dato prova di saper trovare un punto di equilibrio», scriveva ieri sul Giornale Enrico Lagattolla, commentando la decisione del presidente del tribunale di Verbania, Luigi Maria Montefusco, di sfilare il fascicolo delle indagini dalle mani del gip, Donatella Banci Buonamici.

Stiamo parlando della strage della funivia del Mottarone, nella quale hanno perso la vita 14 persone. Nei giorni scorsi, la gip Buonamici non aveva convalidato il fermo di due dei tre indagati disposti dal pm: Gabriele Tadini, Luigi Nerini ed Enrico Perocchio. Secondo la gip, il pm era stato troppo “frettoloso” nella richiesta della carcerazione preventiva e gli arresti erano «al di fuori dei casi previsti dalla legge».

Un gip che si oppone a un pm in un caso di così grande rilievo mediatico? Evento raro, rarissimo. Eppure è la nostra legge che lo prevede, e la carcerazione preventiva – come instancabilmente ripete un fiero garantista come Carlo Nordio – deve essere sempre l’extrema ratio, non il normale modus operandi. E infatti. E infatti come nota il Giornale, la gip s’è vista sfilare il fascicolo «per un difetto di forma».

Il generale Mori

Caso numero due. La Procura generale di Palermo ha chiesto di confermare le condanne inflitte in primo grado a boss, ex carabinieri e politici imputati di minaccia a Corpo politico dello Stato al processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia. Tra questi anche il generale Mario Mori e Marcello Dell’Utri.

Come ha scritto ieri sul Riformista Piero Sansonetti:

«A me pare una richiesta addirittura temeraria. Per svariate ragioni. Quella fondamentale è che le motivazioni della richiesta urtano in modo frontale con molte sentenze definitive già emesse da un grande numero di tribunali e dalla Cassazione, le quali smontano una ad una le motivazioni della Procura generale di Palermo. I principali protagonisti di questo processo – a parte i Pm show – sono Giovanni Brusca e Mario Mori. Brusca è l’autore di 150 omicidi. Mori è un ex generale dei carabinieri che ha catturato Totò Riina e moltissimi altri capimafia e che con il suo lavoro ha inferto un colpo micidiale a Cosa Nostra. Brusca però è stato assolto e per Mori è stata chiesta la condanna. Perché Brusca è stato assolto? Per premiarlo di avere accusato Mori. Ci sono altre prove contro Mori oltre alla testimonianza di Brusca? No: solo prove a discarico».

È un processo dell’assurdo di cui vi abbiamo parlato molte volte. Mori, in un paese normale, andrebbe premiato, non incarcerato. Come disse lo stesso generale all’incontro (“Aspettando giustizia”) organizzato da Tempi nel 2012:

«Io ha fatto tanti errori nella mia vita, ma quello più grande l’ho commesso quando un giorno i militari da me diretti hanno arrestato Totò Riina. E questo non mi è mai stato perdonato perché è dal 1994 che io sono sotto processo, mediatico e giudiziario».

Il governo cadrà sulla giustizia

Alla luce anche di questi fatti recentissimi si capisce perché ha ben ragione Angelo Panebianco a scrivere che, dai tempi di Mani Pulite, «viviamo in un regime di democrazia giudiziaria che ha assunto il controllo della politica rappresentativa, l’ha posta in libertà vigilata» (“La giustizia e il difficile equilibrio”, Corriere della Sera, 8 giugno 2021).

Se in Italia sono certi giudici i primi a non rispettare le leggi (carcerazione preventiva), se in Italia sono certi giudici a decidere se spegnere gli altiforni delle fabbriche (Ilva), se in Italia sono certi giudici a farsi storici e ad arrestare chi ha combattuto la mafia (Mori), cos’altro deve succedere per capire che c’è uno squilibrio tra il potere politico e quello giudiziario che va risanato?

«Non si esagera se si dice che il futuro della democrazia italiana dipende da come verranno affrontati i nodi della giustizia», ha scritto ieri il politologo che s’è lanciato in una facile profezia:

«Se il governo Draghi tra qualche mese cadrà (con conseguenze imprevedibili), esso, quasi certamente, cadrà proprio sulla questione giustizia. È sulla riforma Cartabia che, presto o tardi, si spaccheranno i 5 Stelle: dopo di che, si tratterà di vedere se la loro fazione filogovernativa sarà oppure no abbastanza numerosa da non far mancare al governo il sostegno parlamentare».

Recovery Fund e Procure

Se la profezia di Panebianco si avvererà, sarebbe l’ennesimo caso di governo che cade sulla giustizia (Berlusconi, Prodi, Conte). Ma, al di là delle previsioni, c’è un problema contingente su cui il professore accende un faro:

«Sorte del governo a parte, si pensi a che cosa potrebbe accadere quando si cominceranno a spendere i soldi del Recovery Fund. Immaginiamo lo scenario peggiore. Poniamo che, per una combinazione di normative confuse e di eccessi di protagonismo di alcune Procure, in quel momento fioriscano le inchieste e fiocchino gli avvisi di garanzia, gli arresti, eccetera, bloccando tutto o quasi. Poi, facilmente, come spesso avviene, dopo qualche anno la maggioranza degli imputati verrebbe assolta. Nel frattempo, l’Italia avrebbe, però, sprecato la più importante occasione di sviluppo che le sia mai capitata dai tempi del piano Marshall e si troverebbe nei guai».

La questione giustizia è «il non detto della politica italiana, il tabù su cui quasi tutti glissano», eppure è “la” questione. Capito perché firmeremo per i referendum? Proviamoci, almeno.

Foto Ansa

Tags: Ilvaluca palamaramagistraturaMario MoriPiercamillo Davigo
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