Ratzinger e “il tangentaro”

Di Pietro Piccinini
18 Ottobre 2016
Come ci è finito, il povero papa emerito, in questo ennesimo turbine di carte di procura? Merito del Fatto quotidiano
benedetto xvi ratzinger
Un momento delle celebrazioni per il sessantacinquesimo anniversario del sacerdozio del Papa emerito Benedetto XVI, Citt‡ del Vaticano, 28 Giugno 2016. ANSA/ US/ OSSERVATORE ROMANO

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – “Il tangentaro: ‘Passeggiavo con Razinger’”. Secondo voi cosa vuol dire questo simpatico titolo apparso mercoledì 5 ottobre a pagina 8 del Fatto quotidiano? Anche concedendo al suo autore tutta la buona fede possibile, quale pensiero potrà mai suggerire al lettore una sintesi del genere? Ebbene, sappiate che l’articolo così titolato parla di una indagine dei magistrati di Milano riguardo al presunto giro di affari di un gruppo di «imprenditori lombardi in odor di ’ndrangheta», dove il Ratzinger citato nel titolo non c’entra un accidente.

 E come ci è finito, il povero papa emerito, in questo ennesimo turbine di carte di procura? Ci è finito perché tale Alessandro Raineri, il presunto «faccendiere» di turno, un bel giorno dice al telefono (intercettato, ovviamente) che «con papa Ratzinger io passeggiavo nei giardini vaticani». Chiosa l’articolista: «Chi ascolta resta di sasso, ma forse non sa che anni fa Raineri prese un appartamento a Roma in zona Vaticano. Caso volle che sotto di lui abitasse il cardinal Ratzinger. Da quel momento il rapporto fra i due divenne ottimo». Tutto qua.

L’articolo prosegue con il solito elenco sconclusionato di rapporti, appalti, cene e regali che forse un giorno fra qualche anno giungeranno a sentenza, ma intanto di Ratzinger non c’è già più traccia. La notizia del titolo è esaurita in un «caso». Senza contare che «il tangentaro», ancorché attualmente agli arresti, andrebbe trattato da innocente fino a sentenza definitiva. Ma sapete com’è, noi giornalisti abbiamo “il dovere di informare”. Soprattutto quando chi legge potrebbe restarci «di sasso».

Foto Ansa

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