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Questo io lo chiamo Politica

Lettera della deputata di IV-Azione che ha trascorso una «bellissima giornata incontrando alcune realtà di impegno sociale» del Milanese

Elena Bonetti
09/02/2023 - 5:30
Politica
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Caro direttore, la raggiungo con una breve lettera, dopo una bellissima giornata passata incontrando alcune realtà di impegno sociale che trovano spesso spazio nelle pagine di Tempi. In un Paese ricco di solidarietà come il nostro, il tempo delle campagne elettorali e delle visite nei territori porta sempre con sé la scoperta di esperienze sconosciute ai più, eppure straordinarie e luminose, capaci di mostrare la bellezza possibile nelle nostre città. Le prime parole di riconoscenza vanno, per questo, a Filippo Campiotti, nostro giovane candidato alle elezioni regionali in Lombardia, che ha tenuto a farmi conoscere i volti che animano la solidarietà nel suo territorio. Lo ha fatto in un giorno denso di storia per il nostro Paese, quando l’Italia celebra la Giornata della Memoria, e insieme siamo partiti da Milano, dal Memoriale della Shoah: da quel binario 21 della Stazione Centrale dove l’umanità si è spezzata, e con essa i sogni, i desideri, le speranza che ogni strada che percorriamo dovrebbe custodire e accompagnare.

Prima tappa, Bresso, alla Cooperativa dei Fiori, dove ho incontrato donne e uomini che hanno scelto di dedicare la loro vita al servizio del loro territorio, accanto alle famiglie per accompagnare giovani e adulti con forme di disabilità nel mondo del lavoro. Per far fiorire opportunità e comunità.
Siamo poi andati a pranzo con un gruppo di giovani donne, professioniste, mamme. E ci siamo raccontate, nel nostro comune desiderio di portare avanti la libertà di realizzare un progetto di vita che si possa compiere senza antitesi tra l’essere madri e lavoratrici. Mi sono ritrovata nei loro problemi quotidiani con i figli piccoli (loro erano molto più giovani di me!) ma soprattutto, ho ritrovato quel significato sotteso a tutte le riforme che da ministra ho portato avanti. Infine, l’incontro con una associazione sociale impegnata in un quartiere disagiato di Milano, dove avrei anche dovuto prendere la coincidenza col treno. Ho scoperto una realtà educativa in un territorio difficile, punto di riferimento per le scuole del quartiere e per le famiglie, una realtà di prossimità che agisce contro la dispersione scolastica, la povertà educativa e promuove l’integrazione delle famiglie che vivono in condizioni di fragilità, molte immigrate. Filippo, come tanti altri suoi compagni, le ha conosciute durante il servizio come volontario da studente. Al pomeriggio aiutavano i ragazzi nei compiti e nello studio, ma alcuni giorni il pomeriggio era di giochi appassionanti nel campetto lì vicino. Quello era proprio uno di quei giorni, e le grida di gioia del gioco sono il ricordo più bello che porto con me.

Questi appuntamenti confermano quanto il privato svolga, ancora oggi, il ruolo fondamentale che ha sempre ricoperto, cioè l’individuazione efficace dei problemi che abitano, non visti, il nostro quotidiano e la abilità a rispondervi.

Le ragioni che li rendono invisibili sono molteplici, e toccano le imperizie delle amministrazioni così come la carenza di competenze necessarie per intercettare i bisogni. Le associazioni, le cooperative sociali, il terzo settore, lavorano nel concreto quotidiano e lì, nel terreno dell’umano, incontrano le più varie esigenze emergenti e si allenano alla complessità, ben prima che l’opinione pubblica arrivi a prenderne coscienza e a elaborare risposte.

A stare sotto la superficie dello spazio pubblico è il tessuto sociale, con la sua fittissima trama di relazioni, i suoi connettori di prossimità che danno volto e forma alla vita pubblica nei nostri territori e nell’intero Paese.

Ma il corpo sociale rimane vivo se la vitalità che lo anima continua a scorrere, cioè se continuano a esserci donne e uomini che desiderano mettersi in gioco e offrire il proprio contributo a una coesione che in Italia è da troppo tempo lacerata.

Quelle che ho incontrato con Filippo sono realtà che hanno la forza di animare la vita pubblica e mostrare con le opere il significato della parola comunità. Bisogna però che la politica ascolti l’autorevolezza di queste esperienze e le promuova davvero, a partire dal liberarle dai troppi, e in parte non necessari, gioghi burocratici che ne arretrano il passo. Abbiamo tutti bisogno che associazionismo, cooperativismo e terzo settore siano messi nelle condizioni di fare rete e che l’immenso valore che insieme producono sia destinatario di un investimento stabile da parte delle istituzioni. La stagione di bandi di gara una tantum, che pure ha avuto il merito di offrire forme di sostegno, ancorché occasionali, non ha messo a fuoco e colto il valore strategico, di attivazione di futuro, che è connaturato alle esperienze che investono nei legami di comunità. La politica non ha compreso che la prossimità sostiene e genera fiducia, e che solo la fiducia fa da leva alle aspirazioni personali in una società frantumata nell’individualismo e in deficit di speranza.

Rimuovere gli ostacoli alla promozione delle persone deve sempre essere il criterio dell’azione politica e, quindi, amministrativa. È questa aderenza fattiva allo sviluppo delle persone che assicura alla politica la visione del futuro e la capacità di prevedere e provvedere ai bisogni delle cittadine e dei cittadini di oggi e di domani. È quanto ho fatto in questi anni nell’esercizio delle deleghe alle politiche familiari e alle pari opportunità, ed è da questa convinzione che è nata la riforma del Family Act.

Poter incontrare, ascoltare, condividere un pasto con donne e uomini così straordinari nella quotidianità della loro umanità è un dono di gioia. Sono anche eventi che mettono la coscienza davanti al dovere di lavorare per le persone e cambiare la realtà affinché ciascun bambino trovi una comunità che lo aiuti a crescere; lavorare affinché la forza dei sogni e dei progetti delle famiglie sia riconosciuta, accompagnata e sostenuta adeguatamente.

La coincidenza del passante l’ho persa ma, come spesso accade, un treno perso mi ha fatto guadagnare per un altro pezzo di strada la compagnia di giovani che mi hanno narrato la loro passione e il loro coraggio, quello di chi sa bene quanto spendere il tempo per lasciare il mondo migliore di come lo abbiamo trovato, sappia rendere felice il cuore. Questo io lo chiamo Politica.

Elena Bonetti

Tags: lombardiaMilanoterzo settore
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