Questa è una scuola. L’ipotesi originale di don Villa
Ho ripercorso tre volte i quaranta minuti del docufilm di Tempi, ed ogni volta è stata per me un’esperienza di forte coinvolgimento affettivo: nel filmato scorre la vita di persone che si trovano ad affrontare il disastro del loro paese raso al suolo da un violento terremoto e ne fanno imprevedibile occasione per costruire una scuola decisamente originale dal punto di vista educativo. Un evento fortemente avverso si fa occasione per un’opera al servizio del bene del popolo, in pieno fervore di vita ancora oggi, 46 anni dopo il terremoto. Come sarebbe possibile non essere innanzitutto investiti da una profondità affezione?
Certo don Villa, promotore della scuola e suo centro nevralgico dai primi passi ad oggi, è protagonista indiscusso del documentario, ma al centro della vicenda si colloca una scuola che nasce dal nulla («non sappiamo da che parte iniziare, nessuno di noi ha alcuna esperienza di scuola, logisticamente non abbiamo nulla») e in tempi brevi cresce fino a darsi una forma compiuta con centinaia di alunni e due anni di lista d’attesa per chi desidera iscrivervi il figlio.
Quattro aspetti dell’esperienza della scuola, messi in rilievo dal video, mi sembrano fungere da fattori decisivi della sua originalità
Un paese intero si mette in gioco
Chi si pone alla visione del docufilm, si aspetta che si parli di una scuola; in realtà per dieci buoni minuti si trova di fronte a tutt’altro: un panettiere, uno “scalatore di alberi”, un uomo politico ed un insegnante si presentano, lasciando intendere che saranno i principali protagonisti del filmato; poi entrano in scena il devastante terremoto del 1976 ed un prete milanese che arriva controvoglia a Tarcento, accompagnato da don Luigi Giussani, per mettersi a disposizione del parroco; questi esprime a lui, ed al manipolo di persone arrivate con lui, la sua preoccupazione per i bambini ed i ragazzi del paese, abituati a trascorrere il loro tempo libero facendo riferimento alla Parrocchia; segue un’estate intera trascorsa a fare compagnia ai bambini. Finalmente a settembre la gente del paese pone a don Villa il problema di come proseguire l’esperienza di compagnia dell’estate e gli propone di attivare una Scuola Media Inferiore.
Don Villa si ribella, ha voglia di tornarsene a Milano, gli sembra un’impresa impossibile, ma finisce con l’arrendersi alle insistenze delle persone del luogo, ed anche degli amici arrivati con lui.
Fu così che ebbe inizio l’avventura.
Tutte le vicende della scuola mettono poi al centro dell’attenzione gli abitanti di Tarcento che l’hanno voluta e fattivamente si impegnano a sostenerla.
In un contesto veramente difficile, in un paese che in settembre ha subito una seconda fase di devastanti scosse telluriche, la scuola può prendere avvio, crescere e raggiungere velocemente la sua forma compiuta perché attorno ad essa c’è un paese intero che si è messo in gioco.
Una casa che accoglie
«La scuola è una casa, la casa degli insegnanti che accolgono i ragazzini».
Ogni alunno, uno per uno, viene accolto ed accompagnato personalmente da un manipolo di adulti, compatti nel perseguire l’obiettivo comune. «La scuola è guidata e realizzata da un soggetto comunionale» spiega don Villa: con parole incisive e scevre da equivoci, anche se poco usuali, intende descrivere una scuola che vive e cresce, giorno per giorno, per la presenza di persone profondamente legate da un comune intento, con la consuetudine di guardare alle necessità della scuola come fossero quelle di casa propria.
I ragazzini attesi e salutati all’ingresso ogni mattina; le lezioni vissute come esperienza di una comune scoperta; il diario della classe dove ogni ragazzo può condividere con tutti un’esperienza o un giudizio per lui importanti; gli adulti che si assumono l’onere delle quotidiane necessità materiali («non abbiamo mai fatto ricorso né ad un idraulico né ad un elettricista esterno»); le mamme che impegnano il tempo libero nelle pulizie. Il video ci propone così alcuni fra i molteplici esempi di una comunità all’opera
«I genitori iscrivono i figli alla scuola del don Villa perché questa è una grande famiglia dove ogni ragazzino è preso e valorizzato per quello che è».
Il contenuto dell’insegnamento
In una narrazione prevalentemente orientata a descrivere l’originale modalità di rapporto fra insegnanti e studenti e l’impegnativa gestione delle necessità materiali, mi ha molto colpito un rapido ma significativo accenno ai contenuti dell’insegnamento. Afferma don Villa: «In questa scuola l’insegnamento si qualifica per la dimensione antropologica; ogni disciplina scolastica ha cioè l’obiettivo di comunicare un’idea di uomo. L’unica ragione per cui vale la pena di fare una scuola infatti è avere una concezione della vita da comunicare, perciò l’antropologia non può non essere il centro di interesse di tutto l’insegnamento».
Momento cardine di questa introduzione alla scoperta dell’umana natura è il raduno di tutti gli insegnanti e gli studenti con cui inizia ogni giornata di scuola. Don Villa comunica una riflessione sull’esperienza che nasce dalla vita quotidiana, della scuola, del paese o del mondo. Il documentario ci offre la possibilità di assistere in diretta ad uno di questi raduni di inizio scuola. Don Villa prende spunto dalla tragedia del Mottarone, dove il crollo di una cabina della funivia ha provocato otto morti. «Vedete ragazzi, conclude, può succedere che dal piacere di una gita ci si trovi a passare in un attimo alla morte; la nostra vita è governata da un mistero: siamo fragili creature, cui non è data la possibilità di governare il proprio futuro. Avete l’età per cominciare a pensarci».
Lo scopo di tutto è la libertà
In forma molto discreta, quasi si trattasse di una dimensione capace di imporsi per forza propria, in un’esperienza educativa così condotta, fa capolino l’obiettivo complessivo dell’educazione scolastica: educare ogni ragazzo alla libertà. Si tratta cioè di guidarli ad assumersi la responsabilità delle proprie scelte, indirizzando il proprio cammino verso l’età adulta, consapevoli di quale uomo ognuno vorrà essere.
La metodologia vincente per tirar grandi ragazzi capaci di essere liberi, viene chiarita con una formula tanto semplice quanto efficace dalla Preside Prof. Eva Sopranzetti: «Educare non è riempire un secchio ma accendere un fuoco».
Un giovane così sintetizza la propria esperienza alla scuola del don Villa: «Non mi hanno obbligato a studiare, non mi hanno trasmesso nozioni; mi hanno offerto un metodo».
Un adulto, fra i primi studenti della scuola, spiega perché ha deciso di iscrivervi i propri figli: «La scuola mi ha lasciato un imprinting fondamentale; oggi sono adulto e tutto quello che faccio è permeato dalle persone che lì mi hanno guidato».
Una ipotesi per scuole statali e non statali
“Don Villa, come si fa una scuola?”. Titola un suo pezzo il direttore di Tempi, individuando perfettamente il centro di interesse del docufilm. Insegnanti, Dirigenti Scolastici, persone impegnate nella gestione di scuole non statali potranno trovare in questo filmato una straordinaria occasione di paragone critico.
Di chi è una scuola non statale? Qual è il soggetto che ne porta la responsabilità, a tutti i livelli, da quello educativo a quello economico-gestionale?
Una porzione non indifferente dell’opinione pubblica italiana si va rendendo conto del tallone d’Achille di una scuola statale: l’assenza di un soggetto che si assuma in proprio la responsabilità di condurre la scuola rende impossibile un’idea condivisa di percorso educativo ed un progetto efficace di impiego ottimale delle risorse, umane e materiali.
Ma l’alternativa qual è? Senza una risposta convinta e coraggiosa a questa domanda, anche una scuola non statale non va lontano. La scuola del don Villa è un’ipotesi in atto assolutamente originale; vale la pena di farci i conti seriamente.
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