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Quel Leonardo che finì in cantina
Alcune ritornano alla luce, dissepolte da qualche cantina dove hanno preso la polvere per anni e rimesse sul mercato da qualche erede, altre rimangono nell’oblio, spesso per secoli interi, acquisendo – se ricercate – un’aura quasi mitica, come delle opere d’arte chimera. Chissà quale sarà il caso dell’appena riaffiorato Salvator Mundi di fresca attribuzione a Leonardo. Quel che è certo, finora, è che un gruppo selezionatissimo di esperti leonardeschi ha quasi gridato al miracolo per la riscoperta di uno dei pochissimi (circa 15 in tutto) oli su tela del grande maestro. L’ultima volta che un’opera di Leonado è stata riscoperta risale al 1909, quando la Madonna Benois, adesso all’Hermitage di San Pietroburgo, gli fu riattribuita. La storia del Salvator Mundi, della cui esistenza si parlava da tempo, è lunga, costellata da lacune. Si tratta di una rappresentazione frontale (65.6×45.4 cm su un pannello di noce) a mezzo busto di Cristo come Salvatore del mondo che tiene con la mano sinistra una sfera di cristallo rappresentante il globo e con la destra elargisce la sua benedizione.
La tela è stata probabilmente commissionata da un francese o dal luogotenente Gian Giacomo Trivulzio, morto ad Amboise nel 1518, nello stesso luogo dove si spense Leonardo un anno dopo, ma non ci sono documenti che ne attestino la datazione esatta. Gli unici documenti che certifichino che Leonardo si sia cimentato con l’esecuzione di questo soggetto sono due disegni preparatori conservati alla Royal Library di Windsor in cui alcuni particolari, come il drappeggio della manica e il braccio sollevato di Cristo, vengono resi esattamente come nella tela. Delle piu di 20 copie dei seguaci dell’artista presentate come originali in passato, molte delle quali eseguite sulla base di una meticolosa incisione del 1650 dell’artista boemo Wenceslaus Hollar, nessuna aveva mai guadagnato alcun consenso tra gli studiosi come l’attuale in questione, e molti esperti credevano che l’originale fosse stato distrutto. Il dipinto è certificato per la prima volta nel 1649 nella collezione d’arte del re Carlo I di Inghilterra. Venduto dopo la sua morte, ritornò alla corona dopo l’ascesa al trono di Carlo II per poi passare piu tardi alla collezione del Duca di Buckingham, il cui figlio lo mise all’asta nel 1763 dopo la vendita di Buckingham House (l’attuale Buckingham Palace) al re.
Da allora ogni traccia del dipinto fu perduta fino al 1900 quando fu acquistato da Sir Frederick Cook i cui discendenti lo rivendettero all’asta da Sotheby’s nel 1958 come una copia eseguita dal Boltraffio – uno dei migliori allievi di Leonardo – per l’incredibile cifra di 45 sterline. Per il resto del XX secolo l’opera ha fatto parte di una collezione americana ed è stata poi acquistata nel 2005 dalla R.W. Chandler, un consorzio privato americano rappresentato da Robert Simon, storico dell’arte e gallerista specialista in Old Masters a New York, che ha portato l’opera al Metropolitan Museum of Art affinché potesse essere esaminata da esperti curatori e conservatori. «Il quadro è stato dimenticato per anni» riporta su ARTnews il giornalista Milton Esterow, sulla base di una fonte vicina al Metropolitan che ha preferito rimanere anonima, «quando è tornato all’asta, Simon ha pensato che valesse la pena acquistarlo. Essendo stato ridipinto più volte, somigliava a prima vista a qualunque altra copia. Era rovinato, scuro e cupo dopo essere stato pulito più volte in passato da persone che non avevano la competenza necessaria. Un restauratore ha anche applicato della resina artificiale, che, diventata grigia, ha dovuto essere poi rimossa meticolosamente. Una volta tolta tutta la pittura aggiunta, ciò che si è rivelato era proprio il dipinto originale. E’ venuta fuori una pittura incredibilmente delicata. Tutti concordano che è stata dipinta da Leonardo». Ma non è finita qui. Circa 18 mesi fa il Salvator Mundi è stato portato alla National Gallery di Londra dove Nicholas Penny, direttore del museo, e Luke Syson, curatore della mostra evento dell’anno “Leonardo da Vinci: pittore alla Corte di Milano” (che sarà aperta dal 9 novembre 2011 al 5 febbraio 2012 ), hanno invitato molti esimi studiosi per vederla: Carmen C. Bambach, curatrice di disegni e pitture al Metropolitan Museum of Art; Pietro Marani, che ha diretto il restauro dell’Ultima Cena di Leonardo a Milano; Maria Teresa Fiorio, autrice di numerosi libri sul Rinascimento, inclusa una biografia di Giovanni Antonio Boltraffio, considerato da molti il migliore allievo di Leonardo e Martin Kemp, professore emerito di storia dell’arte all’Università di Oxford che ha dedicato più di 40 anni di studi a Leonardo.
Uno degli studiosi ha dichiarato che sebbene «alcuni dei presenti fossero all’inizio reticenti, si è poi creato un clima di accettazione generale» e ha aggiunto che «la veste di Cristo in blu è dipinta con una delicatezza “miracolosa”. Il quadro é stato danneggiato e ridipinto diverse volte. Ma non è inusuale per opere così antiche aver subito dei restauri brutali. L’opera è stata poi persa, e questo non deve sorprendere. La condizione non è certo immacolata, ma quel che si vede basta per comunicare una eccellente impressione». Dettagli parlanti sono gli straorinari passaggi di grande qualità compositiva, come la mano benedicente, che è sopravvissuta quasi intoccata, il ricciolo arrotolato di capelli che scivola sulla spalla destra, l’intrecciato disegno della stola, il globo di cristallo, visibile ma opacizzato da vari livelli di sporcizia e vernice. Ma come mai un’opera così importante ricompare soltanto adesso? Anche per questo c’è una spiegazione. Le ragioni principali che in passato non hanno reso possibile il riconoscimento dell’opera furono innanzitutto le brutali pennellate sovrapposte che hanno oscurato larga parte della superficie. Il pannello in legno su cui il Cristo è dipinto è stato a un certo punto strappato e incurvato. Il recente trattamento conservativo avrebbe invece rimediato a questi danni, anche se sono ancora evidenti i risultati di centinaia di anni di trattamenti sbagliati. Le evidenti aderenze stilistiche ai dipinti conosciuti di Leonardo, la straordinaria qualità dell’esecuzione, la relazione con i due disegni autografi di Windsor, la manifesta superiorità a piu di 20 versioni dipinte dello stesso soggetto, l’uso di certi strumenti, pigmenti e tecniche proprie del grande maestro e la scoperta dei “pentimenti” – idee preliminari composte, in seguito cambiate dall’artista nell’opera finita, ma che non si riflettono nelle altre opere – sono invece le ragioni che giustificano la convinzione degli studiosi sul fatto che dietro al Salvator Mundi ci sia la mano di Leonardo.
Ci sono voluti dunque quasi sette anni di studi, analisi tecniche e consulti per riscoprire un’opera di indubbia importanza e bellezza che, a differenza de La Dama con l’ermellino, può vantare un consenso unanime ufficiale relativo a chi l’abbia effettivamente eseguita. Non combaciano perfettamente invece le diverse opinioni riguardo la possibile datazione. Secondo alcuni il Salvator Mundi risale agli ultimi anni della carriera di Leonardo e sarebbe quindi contemporaneo alla Monna Lisa. Secondo altri può essere ascritto al periodo milanese, nel tardo 1490, e sarebbe quindi contemporaneo all’Ultima Cena e perfettamente in linea con le opere che vedremo esposte nella mostra londinese del prossimo novembre dove prenderà il posto d’onore. La mostra, come ha sottolineato Luke Syson, sarà «un momento perfetto per testare questa nuova importante attribuzione attraverso un paragone diretto con opere universalmente accettate». Per chi avesse ancora dubbi, guardare per credere. L’opera sarà visibile durante la mostra “Leonardo da Vinci: pittore alla Corte di Milano” presso la National Gallery di Londra dal 9 novembre 2011 al 5 febbraio 2012.
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