Quattro ragioni per il No

Di Gianfranco Amato - Daniele Trabucco
15 Settembre 2020
Non si può davvero spacciare per “riforma” la grave picconata che si vuole inferire alla Costituzione
L'aula della Camera dei deputati

Nelle giornate di domenica 20 e lunedì 21 settembre 2020 il corpo elettorale italiano sará chiamato alle urne per confermare o meno la legge di revisione costituzionale inerente alla riduzione del numero dei parlamentari sia alla Camera dei Deputati, sia al Senato della Repubblica. Occorre, inanzitutto, ricordare che per questa consultazione referendaria costituzionale non è previsto quorum partecipativo, ma unicamente deliberativo. Questo significa che, a prescindere dal numero di coloro che si recheranno alle urne, per impedire la promulgazione della legge costituzionale é necessario che i voti validi a favore del “no” siano superiori a quelli del “sí”.

Sono tante le argomentazioni da portare per sostenere le ragioni funzionali ad impedire l’entrata in vigore di questa pessima legge. In sintesi, se ne possono indicare quattro:

1) Cominciamo sgombrando subito il campo dalla più becera delle motivazioni addotte a sostegno del sì, ovvero quella del risparmio economico. A questo riguardo circolano cifre mirabolanti tra i sostenitori della riforma, ma in realtà il minor numero di deputati e senatori inciderá solo sullo 0,007% della spesa pubblica complessiva, rimanendo inalterati i costi per il funzionamento delle Camere e per il personale che vi svolge la propria attivitá lavorativa. Questo è un dato dell’Osservatorio CPI dei conti pubblici italiani diretto da Carlo Cottarelli. Per capire esattamente di che cifre stiamo parlando, basta fare il classico conto della serva. Lo “stipendio” di un parlamentare è dato dalla somma di due componenti: l’indennità parlamentare, soggetta a ritenute fiscali, previdenziali e assistenziali, che ammonta  a circa 10.400 euro al mese (più o meno 5.000 euro netti), e la somma dovuta ai rimborsi spese per l’esercizio del mandato (diaria, collaboratori, consulenze, convegni, spese accessorie di viaggio e telefoniche ecc.) che ammonta a 8.500-9.000 euro esentasse al mese. Ora, considerando che il vero risparmio per lo Stato deve essere calcolato al netto e non al lordo delle imposte e dei contributi pagati dai parlamentari, il taglio si riduce a 37 milioni per la Camera e a 20 milioni per il Senato. Quindi, stiamo parlando di un risparmio pari a 57 milioni all’anno e 285 milioni a legislatura, cifra significativamente più bassa di quella enfatizzata dai sostenitori della riforma e, come abbiamo detto, pari ad appena lo 0,007 per cento della spesa pubblica italiana. Per avere l’idea dell’ordine di grandezza del risparmio in cinque anni (285 milioni), basta considerare che il governo Conte II per garantire l’accoglienza dei migranti negli Sprar da gennaio prossimo a dicembre 2023, ha messo a disposizione più di  375 milioni di euro (375.445.844,01 per l’esattezza).

2) Più seria è la seconda motivazione, ovvero il pericoloso ridimensionamento della rappresentanza politica con contestuale aumento del divario tra rappresentanti e rappresentati e relativa difficoltá di selezionare gli interessi pubblici in gioco. Questa divaricazione, peraltro, avrá inevitabili implicazioni anche sulla scelta della stessa classe politica ad opera dei partiti i quali saranno propensi piú a premiare chi é in grado di portare consenso, controllando un certo numero di tessere, piuttosto che i “portatori di competenze”. Si potrebbe replicare che il problema é presente anche oggi, ma certamente la riforma lo amplierá.

3) La terza motivazione riguarda il fatto che la riduzione del numero dei parlamentari avrà inevitabili ripercussioni sullo stesso procedimento legislativo, il quale non sará velocizzato soprattutto a Palazzo Madama, in quanto i senatori dovranno inevitabilmente partecipare a piú Commissioni parlamentari permanenti con un aggravio del lavoro e dell’impegno a scapito della stessa qualitá della legislazione. Ripercussioni si avranno anche sull’elezione di alcuni componenti, da parte del Parlamento in seduta comune, di altri organi costituzionali o di rilievo costituzionale (ad esempio i 5 giudici della Corte o i membri “laici” del Consiglio Superiore della Magistratura). Il pericolo, infatti, é quello di anestetizzare le minoranze, specialmente i cattolici, e la stessa dialettica parlamentare, cuore pulsante del sistema democratico: sará molto più semplice, nella seconda deliberazione, raggiungere la maggioranza dei 2/3 per impedire il ricorso al referendum oppositivo.

4) L’ultima motivazione é fondata sul rilievo che si tratti, in realtà, di una revisione “cieca”, parziale e frutto della vuota retorica anticasta portata avanti dal Movimento 5 Stelle. Come mai, in tutti questi anni, non si é deciso di attuare i vari programmi di spending review di cui al decreto-legge n. 69/2013? Non ha senso oggi limitarsi ad incidere sul numero dei componenti dei due rami del Parlamento italiano senza ripensare seriamente la stessa forma dello Stato centralista, senza avere la visione di una riforma costituzionale che guardi, per esempio, alla prospettiva federalista indicata dall’intuizione profetica di Gianfranco Miglio.

È triste constatare il profondo degrado istituzionale in cui versa attualmente in nostro Paese.

Si è persino giunti al punto incredibile di utilizzare uno strumento di consultazione popolare estremamente serio come il referendum ex art. 138, secondo comma, della Costituzione, non per far esprimere gli italiani su un’importante modifica della stessa Costituzione, ma per farli votare su un demagogico slogan elettorale del Movimento grillino.

Non si può davvero spacciare per “riforma” la grave picconata che si vuole inferire alla Costituzione sulla base di una suggestione lanciata in piazza da un comico. Ed è semplicemente delittuoso consentire ai Masaniello di turno improvvide incursioni nella Carta fondamentale dello stato, ovvero nel pilastro che regge l’impalcatura istituzionale di una nazione. Chi oggi si assume questa responsabilità pagherà un prezzo politico altissimo e sarà giudicato dalla Storia.

Avv. Gianfranco Amato, Presidente dei Giuristi per la Vita
Prof. Daniele Trabucco, docente di diritto costituzionale
Foto Ansa

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