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Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – L’idea dell’ultimo romanzo di Ian McEwan è meravigliosa. Il protagonista di Nel guscio è un feto. Il più insondabile degli esseri viventi. Chiuso nella sua sacca amniotica, il bimbo ascolta e metabolizza ciò che accade al di fuori. In un mondo del quale non ha nessuna cognizione. Apparentemente nessuna cognizione. Perché in realtà la creatura è una spugna di sapere. Ascolta le voci di fuori, assapora e giudica lo champagne che la madre beve, segue gli eventi della storia contemporanea attraverso le trasmissioni dei notiziari e i dibattiti colti delle radio e delle tv.
Lui è cosciente di non sapere. Tanto che dice: «Immerso nelle astrazioni, posso contare solo sui loro proliferanti legami a catena per crearmi l’illusione di un mondo noto. Sento dire “azzurro”, che non ho mai visto, e immagino un evento mentale non molto lontano da “verde”, che a sua volta non ho mai visto».
[pubblicita_articolo allineam=”destra”]Lui non vede, ma sa. In fondo è stata la condizione di Omero e di Borges. Che sapevano perché ascoltavano i racconti e, a loro volta, raccontavano. Prendevano la luce della vita e delle storie di altri e illuminavano il mondo con le loro.
Il bambino di Nel guscio è geniale e simpatico, ironico e colto. Fuori dal suo comodo rifugio succedono brutte cose e brutti intrighi, quelli dei grandi, che non gli piacciono.
Fuori da quella pancia calda si agitano odi e miserie, meschinità e complotti. Il padre è un tipo sbiadito, inconsistente, la madre organizza il suo assassinio in combutta con l’amante, un volgarone banale e arrogante. Un tipo lontano mille miglia dal mite ed equilibrato carattere del saggio bimbo che aspetta di nascere.
Si sono già scritte molte interpretazioni del senso dell’inusuale testo di uno dei più geniali autori contemporanei. La mia è semplice e forse, per questo, sbagliata. Ammesso che ne esista una giusta. Io penso che Nel guscio sia un grande inno al racconto, al valore della trasmissione della conoscenza, all’eleganza della complessità contro la volgarità della semplificazione.
È un gran libro, non perdetelo.
Foto Ansa
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