«Se l’Italia fosse un Paese “ottimo” anche da noi servirebbe una Grande Coalizione.». Il professor Tremonti forse non immaginava (o forse sì) che questa sua provocazione, buttata lì in «maniera accademica» sulle pagine di Repubblica potesse sollevare un tale polverone. Il fatto è che, come lui stesso ha ricordato, l’Italia si porta dietro una «maledizione storica». Gaber lo aveva descritto in maniera chiara quando ci aveva spiegato che il culatello è di destra e la mortadella di sinistra. Così siccome Romano Prodi è di sinistra (così almeno dice) e Berlusconi è di destra (ed è il male assoluto) va da sé che i due non possono in nessun modo dialogare. Anzi, vincesse Prodi, l’unica possibilità è cancellare tutto ciò che ha fatto il governo Berlusconi ripartendo dall’anno zero. La proposta di Tremonti si trasforma perciò in un grande inciucio per rendere un po’ più dolce una sconfitta che, almeno sulla carta, si preannuncia disastrosa.
Ai teorizzatori dell’inciucione però, forse è sfuggito qualche passaggio. Ad esempio quello in cui, sempre Tremonti, richiama la necessità di «identificare l’essenziale e porlo su una piattaforma comune». Una prospettiva resa ancora più chiara dalle parole del coordinatore nazionale di Forza Italia Sandro Bondi che, in un’intervista al Corriere della Sera, ha descritto uno scenario diverso parlando di un «bipolarismo mite» in cui chi governa può contare su un’opposizione impegnata in un dialogo costruttivo su alcuni punti condivisi. Beh, messa così, la Grande Coalizione (o in qualsiasi altro modo volete chiamarla) non sembra proprio da buttar via. Il problema, infatti, non è un nuovo tecnicismo politico, ma piuttosto la necessità, ormai abbastanza impellente, di metter da parte le beghe politicanti per dare al popolo un governo che abbia innanzitutto a cuore il bene del Paese. Anche perché il futuro si annuncia tutt’altro che mite.
IL BERTINOTTI BIS
Un paio di settimane fa l’ufficio studi della Camera ha presentato uno lavoro molto interessante. Si tratta di un calcolo di come verranno assegnati i 617 seggi della Camera dei deputati secondo il sistema proporzionale previsto dalla nuova legge elettorale. La proiezione è stata realizzata prendendo i dati delle ultime Regionali e, nelle Regioni dove questo non è stato possibile, delle Europee 2004. Lo studio conferma quella che sembra essere la tendenza generale: una vittoria del centrosinistra guidato da Romano Prodi che otterrebbe, grazie al premio di maggioranza, 340 seggi a fronte dei 277 della Casa delle Libertà.
Vista così sembrano esserci tutte le condizioni per un nuovo governo di legislatura (auspicato, tra gli altri, anche dal terzista Paolo Mieli). Se si scava un po’, però, la vicenda si complica e non poco. Sul fronte del centrosinistra i dati parlano chiaro: Uniti nell’Ulivo raccoglierebbe il 33,6 per cento dei voti seguita da Rifondazione Comunista (5,4), Verdi (2,7), Pdci (2,5), Udeur (2,4) e Italia dei Valori (1,5). Nella Cdl Forza Italia si fermerebbe al 19 per cento, An al 10,9, l’Udc al 6,4, la Lega al 5 e il Nuovo Psi all’1,4. Sommando anche il peso di liste civiche e partitini collegati il dato finale è Unione batte Cdl 51,5 a 45,1 per cento. Restano ovviamente fuori da questo conteggio tutti i partiti che, alle ultime elezioni, si sono presentati slegati dai due schieramenti, partiti che, nella loro totalità raccoglierebbero il 3,4 per cento dei consensi.
A questo punto arriva il bello. Dopo essersi districati tra quozienti elettorali, soglie di sbarramento e i complicatissimi calcoli previsti dalla nuova legge elettorale alla coalizione minoritaria (Cdl) verrebbero assegnati 288 seggi mentre a quella maggioritaria (Unione) 329. Seggi che, in virtù del premio di maggioranza, diventerebbero 340 contro i 277 dell’opposizione. Si può ora procedere alla ripartizione per ogni singolo partito.
Nella Cdl Forza Italia perderebbe 41 seggi passando dai 168 attuali a 127, An passerebbe da 94 a 73, la Lega guadagnerebbe 8 seggi (da 26 a 34) così come l’Udc (da 35 a 43). Nell’Unione invece, tolto il blocco di Uniti nell’Ulivo (245 seggi), Rifondazione passerebbe dagli attuali 12 a 39 seggi, i Verdi da 7 a 19, il Pdci da 10 a 19, l’Udeur da 13 a 18. In sintesi Romano Prodi e il blocco riformista sembrerebbero destinati a ripetere l’esperienza del 1996 quando, con i suoi 35 deputati Bertinotti tenne sulle spine il governo fino a farlo crollare. I dati non lasciando spazio ad interpretazioni: basterebbe infatti che il Prc votasse compatto con l’opposizione e il governo perderebbe la maggioranza. Allo stesso modo diventano determinanti anche i 38 seggi di Verdi e Pdci e, in misura forse minore, i 18 di Mastella.
Insomma, la prospettiva, abbastanza concreta, è quella di un governo Prodi schiavo della sinistra radicale. Tra l’altro, alcuni “sondaggi privati” che circolano a Montecitorio accreditano Rifondazione Comunista di una forza ancora maggiore (secondo alcuni potrebbe addirittura prendere 70 deputati) e c’è chi già parla malignamente di un Bertinotti bis.
LE ULTIME PAROLE FAMOSE
Certo, le obiezioni allo studio presentato dagli uffici della Camera sono tante. Innanzitutto il fatto che esso si basa su dati delle ultime Regionali che non rispecchiano completamente i reali valori in campo. Ma soprattutto, a fare la differenza, è la convinzione, insita nell’entourage prodiano, che stavolta Bertinotti non farà scherzi. Il centrosinistra, dicono, è al governo in molte Regioni e in centinaia di enti locali grazie all’apporto di Rifondazione Comunista. Tutto probabilmente vero se non fosse che, negli ultimi tempi, una delle amministrazioni forse più solide in mano al centrosinistra (Bologna) ha cominciato a scricchiolare proprio per uno sgambetto della sinistra più radicale capitanata da Rifondazione Comunista.
Viste le premesse siamo proprio sicuri che l’episodio non possa ripetersi una volta arrivati al governo magari su questioni riguardanti l’economia nazionale, il lavoro, l’immigrazione o la giustizia? Siamo proprio sicuri che non serva piuttosto una piattaforma di valori condivisi su cui si possa fondare un dialogo franco e costruttivo tra maggioranza e opposizione che possa salvare il Paese dalla prospettiva dell’ingovernabilità? Siamo proprio sicuri che la proposta di Tremonti, in fondo, sia solo un’ipotesi accademica?