Già sbugiardato, o quanto meno corretto, dal suo ex-maestro e tuttora amico Andreatta sull’affare Mitrokhin, di cui egli ha cercato di negare la conoscenza quando era presidente del Consiglio, dimenticando di esserne stato informato proprio da Andreatta, che era il suo ministro della Difesa, Prodi ha trascorso 48 ore di fibrillazione nervosa pari forse solo a quelle procurategli nel 1993 quando era presidente dell’Iri dal suo attuale compagno di asinello Di Pietro. Che allora lo interrogò pesantemente nella procura di Milano per Tangentopoli facendogli sentire, sia pure figurativamente, il tintinnio delle manette. Le brutte 48 ore di questa volta sono quelle passate fra il trionfalistico annuncio del governo D’Alema di avere spontaneamente mandato le carte dell’affare spionistico Mitrokhin alla procura di Roma, alla quale invece Prodi non ritenne di doversi rivolgere quando ne venne a conoscenza, e la meno trionfalistica precisazione di averle trasmesse sì, ma solo su richiesta della magistratura. Ciò tuttavia ha salvato in qualche modo solo la faccia politica dell’ex presidente del Consiglio nel paragone con il suo successore, ingiustamente apparso per due giorni più trasparente e coraggioso di lui, per nulla desideroso di coprire cose e persone. Se gli risparmierà anche fastidi giudiziari, come gliene furono alla fine risparmiati sei anni fa, si vedrà successivamente. Ma il professore, si sa, è fortunato.
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
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