«Ieri è stata una giornata che mi ha lasciato con l’amaro in bocca», ha detto ieri il sindaco di Parma, Federico Pizzarotti. Il politico pentastellato non è stato contento dell’espulsione dei quattro senatori del Movimento 5 Stelle, disposta dai colleghi parlamentari e ratificata dalla Rete. In un post su Facebook, il primo cittadino si è lagnato della decisione: «Io non l’ho capita».
CONFRONTO DI IDEE. Pizzarotti si lamenta della “questione democratica” in un partito il cui leader, Beppe Grillo, è un dichiarato anti-democratico. Non è tutto: si dice convinto che «il confronto sia molto più funzionale dello scontro». Per esempio, spiega, nel suo Comune la forza della giunta grillina «è il confronto sulle idee». Secondo il sindaco, a Parma (forse non a caso conosciuta come la Stalingrado dei 5 stelle) è sempre garantita la libertà di opinione, la possibilità di avere un confronto «forte e vivo». Infatti, sentenzia su Facebook, «ci unisce quello che più ci divide»; «due idee messe l’una di fronte all’altra ci danno il senso di cosa è giusto e cosa è sbagliato».
NON CRITICARE LA GIUNTA. Belle parole, forse, ma confutate dalla realtà. Proprio per evitare che “idee” diverse da quelle dei capi di Parma uscissero dal municipio, Pizzarotti ha imposto il bavaglio a tutti i funzionari del Comune (i consiglieri di maggioranza già si tengono imbavagliati). Pizzarotti, che da sempre si vanta di «non occuparsi di buche ma della rivoluzione culturale», non disdegna di applicare ai dipendenti pubblici la stessa disciplina ferrea che Grillo impone ai membri del suo movimento. Per questo ha recentemente approvato un codice di comportamento per i 1300 funzionari comunali di Parma. Il codice applica quello nazionale, ma lo integra con norme decisamente poco aperte al confronto, che vietano addirittura di commentare su Facebook l’operato della giunta.
BAVAGLIO GRILLINO. Che cosa prevede il bavaglio targato Parma a 5 Stelle? Pena una sanzione fra 200 euro e 500 euro o 4 ore non pagate, il personale del Comune «si astiene dall’esprimere, anche nell’ambito dei social network, giudizi sull’operato dell’Ente derivanti da informazioni assunte nell’esercizio delle proprie funzioni». L’articolo 11 del codice nazionale, dove si afferma che i dipendenti pubblici usano «a fini esclusivamente d’interesse pubblico le informazioni di cui dispongono per ragioni di ufficio», viene tradotto dalla giunta Pizzarotti da un altro precetto «il personale non divulga e non utilizza per fini personali informazioni di cui sia venuto a conoscenza», non per «ragioni d’ufficio», come impone il codice nazionale, ma semplicemente «durante il servizio». Il bavaglio ai dipendenti del Comune si estende anche a maestri, educatori e coordinatori pedagogici: «Nel rapporto con i genitori il personale deve astenersi dal fare commenti o esprimere giudizi sulle scelte dell’Amministrazione nell’ambito delle politiche educative».