Chi è avvezzo a leggere le icone bizantine sa che l’uso dei colori è funzionale ad esprimere dei concetti codificati. Ad esempio l’oro rappresenta la divinità, come il rosso la regalità e la sofferenza. Ecco, tra le tante foto che circolano in rete, ce n’è una del fotografo free lance Fabrizio Politi che è particolarmente evocativa. Il papa, leggermente curvato, che sta varcando la Porta Santa per entrare nella Basilica di Collemaggio. L’interno della basilica è immerso nel buio. Un fondo nerissimo. L’immagine non può non richiamare le icone della Natività, oppure della Pentecoste o il Pantocrator. In tutte queste icone il nero rappresenta la morte, il peccato. In tempi come i nostri è sempre più difficile parlare di questi concetti senza vedere storcere il naso da più parti.
Allora il gesto compiuto da papa Francesco domenica mattina va oltre il cerimoniale, è un atto liturgico che supera l’uomo e lo santifica. Non ci può essere resurrezione senza morte, così come non c’è perdono senza peccato. «O felix culpa, quae talem ac tantum meruit habere Redemptorem!» proclama l’Exultet pasquale. Felice colpa che ha meritato un così grande Redentore.
La nebbia e lo spiraglio
Il gesto del Papa è una sorta di battesimo collettivo. Lui di spalle, bianchissimo nella sua veste liturgica, il profondo buio dinanzi a sé. Non è un caso che per entrare in quel buio sia necessario scendere tre gradini, come una sorta di fonte battesimale; una discesa che è insieme dell’uomo e di Dio negli inferi. Un Dio che non si è schifato della sua creatura infedele, arrogante, irriconoscente ed è sceso nelle profondità delle miserie per gettare una luce, per mostrare una strada. Duemila anni fa con un bambino, il Re annunciato dai pastori (uomini che non avevano neanche il diritto di difesa nelle cause), il Re il cui trono era una mangiatoia prima ed un sepolcro poi.
Nell’omelia, il Papa – spesso abbandonando il testo scritto – ha chiosato a braccio e per confermare quanto la misericordia sia legata al perdono ed entrambi siano tratti che uniscono l’uomo a Dio, ha raccontato la disavventura del suo atterraggio. Una nebbia fittissima non consentiva di scendere dove era previsto. Improvvisamente uno spiraglio si è aperto e lì il pilota si è tuffato per riuscire ad atterrare.
La nebbia del dubbio, del peccato sì, ma anche la nebbia del non senso. Quando la nebbia ti avvolge si perdono tutte le connessioni con il mondo circostante e quello che era familiare diventa improvvisamente estraneo. Allora diventa necessario attraversare le proprie nebbie ed avere lo sguardo attento a leggere ogni piccolo spiraglio.
L’indulgenza e la perdonanza
Celestino V questo lo sapeva bene, così come sapeva quando era ancora al secolo Pietro da Morrone, l’eremita Pietro che le nebbie non si diradano per volontà di un solo uomo, ma è necessario una comunità, un popolo. Per questo motivo le litterae gratiosae che concedono l’indulgenza plenaria (la cosiddetta Bolla del Perdono) sono rivolte a tutti i cristiani, «universis Christi fidelibus». A tutti. Ai ricchi e ai poveri, agli aquilani e agli stranieri.
Un documento di portata incredibile, perché si inseriva in un periodo storico in cui le indulgenze erano appannaggio perlopiù dei ricchi, di chi poteva permetterselo. Si riceveva l’indulgenza, ad esempio, partecipando alla crociata, combattendo contro gli eretici. Un do ut des tipicamente umano e poco divino. La Perdonanza no, così come l’aveva pensata Celestino V, tanto che l’unica condizione necessaria è solo un sincero pentimento e la confessione.
Il Creatore che si fa creatura
Per questo motivo, Bonifacio VIII provò a disinnescare un provvedimento tanto rivoluzionario istituendo il giubileo del 1300. Ma la Perdonanza non ha scadenza venticinquennale come l’avrà il giubileo, ma annuale. Ogni anno. La Chiesa e Dio, diventano immediatamente vicini, una uscita verso le periferie, verso quei poveri che dovevano rendere visibile molto più di oggi le beatitudini.
Per questo papa Francesco (e prima di lui Benedetto XVI) visitano Celestino V. Ratzinger dopo qualche giorno dal terremoto, donando il pallio della sua elezione e Bergoglio addirittura aprendo, sua manu, la Porta Santa. Due papi che, come Giovanni Paolo II, hanno mostrato ad un uomo votato al culto dell’invincibilità, la debolezza della propria condizione. Mai un Papa aveva compiuto un atto così significativo. Uno squarcio di luce, un tuffo nelle nebbie, una strada tracciata. La Perdonanza è per tutti, per tutti coloro i quali «vere penitentes et confessos» visiteranno la basilica di Collemaggio. La Perdonanza è il Creatore che si fa creatura. O felix culpa. Felice colpa che ha meritato un così grande salvatore.
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