Perché gli svizzeri vogliono pagare il salatissimo canone tv
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Nello stesso giorno in cui in Italia alle elezioni politiche si evidenzia una vittoria della forza che promette di risolvere i problemi del paese con «la parola magica, “pubblico”, cioè statale», cioè reddito di cittadinanza e così via, accade qualcosa anche al di là delle Alpi. Lo sapete, da queste parti coviamo una certa invidia per come si concepisce lo Stato nei cantoni e anche lì si è votato il 4 marzo un referendum per decidere se abolire o meno il canone radiotelevisivo. Secondo voi in Italia come finirebbe una consultazione simile? Invece lì ha vinto il “no” a larghissima maggioranza. Quindi il paese più federalista del mondo, dove ogni comune è uno staterello geloso della propria autonomia, ha votato a favore di una gabella statale. Una gabella, tra l’altro, assai salata (quasi 400 euro annui). Ebbene sì, ma non c’è contraddizione. Essere federalisti, significa essere anti-statalisti, non anti-Stato. Se una cosa funziona, come la tv pubblica svizzera, occorre sostenerla, anche mettendo mano al portafoglio.
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Articolo tratto dall’Osservatore romano – Netta sconfitta in Svizzera del referendum per la soppressione del canone radiotelevisivo. Al termine di una lunga e accesa campagna elettorale, il 71,6 per cento dei votanti ha bocciato il testo promosso dalle sezioni giovanili di due partiti di destra (Unione democratica di centro e Partito liberale radicale) che volevano l’abolizione della tassa in nome del libero mercato. La partecipazione al voto si è attestata al 54,1 per cento degli aventi diritto.
[pubblicita_articolo allineam=”destra”]Se l’iniziativa fosse stata accettata, la Svizzera sarebbe stato il primo paese in Europa ad abolire il servizio pubblico nel settore della radio e della televisione, come aveva sottolineato il governo, fortemente contrario alla proposta che minacciava «la sopravvivenza» della Società svizzera di radiotelevisione (Ssr), in un mercato audiovisivo piccolo ma multilingue come quello elvetico.
Il responso delle urne è stato chiarissimo. Il numero dei no è stato superiore a quanto pronosticato dai sondaggi con percentuali di voti contrari al testo che hanno raggiunto il 78,3 per cento a Neuchâtel e il 78,1 nel Giura. Anche il Ticino ha votato contro, con il 65,5 per cento dei voti.
Secondo i promotori del referendum il sistema del canone è antiquato nell’era di internet e delle emittenti televisive a pagamento e i cittadini devono poter pagare solo quello che consumano. Tra i più soddisfatti per l’esito del voto, il direttore della Ssr, Gilles Marchand, che vede nel risultato odierno «un segnale forte per il servizio pubblico, per le radio e televisioni regionali, nonché per l’insieme della Svizzera».
Oltre alla Ssr, che fornisce un servizio pubblico multimediale in tutte le regioni e le lingue nazionali (tedesco, francese, italiano e romancio), i proventi del canone sono destinati a radio locali ed emittenti televisive regionali che adempiono un mandato di servizio pubblico. Pari a 451 franchi annuali (circa 390 euro), il canone svizzero è tra i più cari in Europa. Dal primo gennaio del 2019 scenderà a 365 franchi all’anno. Dovrà essere pagato indipendentemente dal possesso di apparecchi di ricezione e anche le aziende dovranno pagare un canone calcolato in funzione della cifra d’affari, in caso superi i 500.000 franchi all’anno.
Il direttore della Ssr ha comunque ribadito che l’ente prevede misure di risparmio. «Dovremo concentrarci meglio sulle nostre priorità: informazione, cultura e mondo digitale» ha detto.
Foto Ansa
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