
Per l’industria dell’aborto Unplanned è come la pillola rossa di The Matrix

Per gentile concessione del Catholic Herald, proponiamo di seguito in una nostra traduzione un articolo di Sohrab Ahmari, op-ed editor del New York Post, apparso nel numero del 12 marzo del magazine cattolico londinese. Il testo originale in inglese è disponibile anche online in questa pagina.
In questa primavera ricorrerà il ventesimo anniversario di The Matrix. Vent’anni fa l’hacker Neo (Keanu Reeves) scelse la pillola rossa scartando quella blu, e ricevette la memorabile visione di un mondo in cui i robot riducevano in schiavitù chissà quanti miliardi di esseri umani, prelevando la loro energia vitale per alimentare il loro impero malefico. The Matrix pescava in un logoro tropo della fantascienza, vecchio quanto Metropolis, quello dell’eroe che scopre l’orribile verità nascosta appena sotto la gradevole superficie della vita quotidiana.
«Matrix è ovunque», dice Morpheus (Laurence Fishburne) a Neo. «Puoi sentirla quando vai al lavoro, quando vai in chiesa, quando paghi le tasse. È il mondo che ti è stato messo davanti agli occhi per nasconderti la verità». La realtà di tutti i giorni, nello spaventoso immaginario dei fratelli Wachowski, è un’illusione studiata per mascherare il processo grazie al quale i robot trasformano letteralmente gli esseri umani in batterie usa e getta.
Unplanned – il nuovo film basato sull’autobiografia di Abby Johnson, un’ex “impiegata dell’anno” di Planned Parenthood divenuta attivista pro-life – è The Matrix di questa generazione. Abby Johnson (ben interpretata nel film da Ashley Bratcher) è la nostra Neo. Quanto all’impero di macchine intelligenti che ha steso un velo sulle sue azioni disumanizzanti, beh, quello sarebbe Planned Parenthood.
L’unica differenza è che Unplanned non è un’opera di fantascienza. Il “deserto del reale” che dipinge sono gli Stati Uniti di oggi.
Noi americani in effetti abitiamo in una specie di Matrix: andiamo al lavoro, paghiamo le tasse, ci facciamo un’overdose di Netflix, passiamo da un bar all’altro – e quando una vita appena concepita e le sue esigenze destabilizzanti si intromettono nella nostra autonomia, possiamo recarci in anonimi edifici dove «se ne prendono cura», come dice alla Johnson nel film uno dei suoi ex fidanzati (lei stessa si era sottoposta a due aborti prima di entrare in Planned Parenthood come dipendente a tempo pieno).
Il nostro stile di vita, ossessionato dall’autonomia, oscura – ed è reso possibile da – l’industria dell’aborto. La cultura di morte è l’orribile essenza della nostra modernità laica e progressista, che tratta gli esseri umani al pari di tessuti, mentre stende un velo alla Matrix davanti ai nostri occhi – un velo che la maggior parte di noi, anche molta gente contraria all’aborto, contribuisce a tessere, rifiutandosi di fissare lo sguardo proprio su quell’essenza orribile, su quel che accade all’interno di quegli edifici anonimi.
Noi americani scegliamo la pillola blu.
Per molto tempo Abby ha preso disciplinatamente le sue pillole blu. Sebbene provenisse da una famiglia pro-life, da studentessa del college la Johnson si era lasciata convincere da un recruiter di Planned Parenthood e dalla promessa che con loro avrebbe lavorato per ridurre al minimo il ricorso all’aborto. Ben presto si era trovata a scalare i ranghi di Planned Parenthood, divenendo infine la direttrice di clinica più giovane del gruppo. Poi un giorno fu chiamata ad assistere a un aborto – ed è cambiato tutto.
Vedere e sentire un vero aborto – un “bambino perfetto” risucchiato fuori dal grembo materno con un tubo di aspirazione – è stata la pillola rossa per la Johnson. Quell’esperienza rappresenta l’indimenticabile, quasi insostenibile, scena di apertura del film, colpevole, probabilmente, del divieto di visione ai minori imposto a Unplanned. Come ha osservato l’arcivescovo di Kansas City Joseph Naumann in un recente commento per il Wall Street Journal, quel divieto equivale all’ammissione da parte dell’industria (abortista) del cinema che l’aborto è un atto violento.
Ma noi non dobbiamo distogliere lo sguardo. Noi americani dobbiamo avere il coraggio di scegliere la pillola rossa – e attraversare il velo di Matrix. Unplanned ci offre un’opportunità preziosa per farlo.
Ecco perché ovviamente Unplanned ha disturbato l’industria dell’aborto. Il suo successo è arrivato nonostante il blackout delle anteprime televisive e la censura su Twitter. Dopo di che i critici cinematografici (molti dei quali sono sostenitori dichiarati dell’aborto) hanno inondato i media della carta stampata e del web di recensioni negative. Hanno condannato Unplanned come «disgustosa propaganda» (Forbes) «paranoico» (Variety) e «un pasticcio sanguinolento» (The Guardian).
Pensate ai critici malevoli, ai censori di Twitter e ai dirigenti delle tv che hanno imposto il blackout come a tanti Agenti Smith auto-replicanti, intenti a estirpare la resistenza contro Matrix. Finora hanno fallito. Unplanned è un successo incontrollabile, ha guadagnato più di 12 milioni di dollari al momento in cui scrivo, a fronte di un budget per la produzione di 6 milioni.
Ricordate: quando Neo inizia a padroneggiare le regole di Matrix, diventa capace di piegare quelle regole – e di sconfiggere le macchine.
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