Il peccato originale dell’Anac

Di Ermes Antonucci
30 Luglio 2021
Il governo vuole ridimensionarne il ruolo. Cosa non ha funzionato in questi anni? Intervista a Gianluca Maria Esposito, docente di diritto amministrativo a Roma
strada con lavori

strada con lavori

Velocizzare e semplificare gli appalti pubblici per permettere al paese di investire gli oltre 200 miliardi di euro provenienti dall’Unione europea. È questa una delle esigenze più avvertite dal governo Draghi.  In autunno sarà la volta del disegno di legge delega per la semplificazione degli appalti, altro settore cruciale per il rilancio dell’economia.

Secondo quanto anticipato lunedì dal Corriere della Sera, il governo intende intervenire ridimensionando il ruolo dell’Autorità nazionale anticorruzione, non nella prevenzione della corruzione ma come regolatore degli appalti, in modo da rendere quest’ultimi meno lenti e complessi. Un tema, quello della riforma dell’Anac (ora presieduta da Giuseppe Busia, dopo gli anni movimentati di Raffaele Cantone), che si trascina da anni.

Imbrigliamento di attività

«Il peccato originale dell’Anac è stato la sovrapposizione di una funzione trasversale, la vigilanza sulla trasparenza, che riguarda lo Stato nel suo complesso, a una funzione settoriale, la vigilanza sui contratti pubblici», dichiara a Tempi Gianluca Maria Esposito, docente di diritto amministrativo all’Università La Sapienza di Roma, tra i massimi esperti di lavori pubblici e corruzione.

«Il riflesso è stato l’imbrigliamento di attività protese alla infrastrutturazione del paese e allo sviluppo dell’economia nei meccanismi di prevenzione della corruzione. Alla resa dei conti, le seconde hanno costituito un freno per le prime, laddove la semplificazione di queste ultime sarebbe stata il più efficace antidoto alla criminalità organizzata e, ad un tempo, il volano dello sviluppo economico. L’Anac è stata affossata di poteri, talora duplicando le strutture del ministero, e questo non ha aiutato il mercato dei contratti pubblici a decollare, ovvero il 15 per cento del Pil italiano da cui dipende la modernizzazione delle nostre strade, ferrovie, ospedali, nonché la qualità di servizi essenziali».

Un modello amministrativo perdente

Il problema, aggiunge Esposito, è che «l’Italia è stata a lungo il paese dei controlli, anziché dei programmi. L’intero sistema dei poteri pubblici è apparso sbilanciato su questa funzione ancillare, a discapito di quella principale, che è la programmazione. Non solo l’Anac. La Corte dei conti, le procure, le altre autorità indipendenti, l’amministrazione attiva dello Stato centrale e periferica, gli enti regionali e locali hanno mostrato una forte sindrome del controllo. Dietro vi è la sostanziale sfiducia nel privato, che invece è il motore trainante della società. Il problema è il “modello amministrativo”, più che il singolo ente».

Come riformare, dunque, la normativa sugli appalti in modo che essa favorisca, anziché frenare, l’attività economica? «Dai “controlli ai programmi”, questa è la cura che serve al paese», risponde Esposito. «Il recente riposizionamento del Pnrr al centro dell’agenda governativa centrale e locale è stato un cambio di passo fondamentale a favore dell’iniziativa economica, secondo lo spirito dell’articolo 41 della Costituzione. È necessario ora riallineare le funzioni amministrative agli obiettivi politici, il che richiede riforme amministrative strutturali, di cui quella del settore dei contratti pubblici è prioritaria, a partire dal codice».

Tre obiettivi

Per l’amministrativista, appaiono prioritari tre obiettivi: «Primo: ridurre le norme stesse (che in Italia sono il doppio di altri paesi) e alleggerire le procedure da inutili orpelli burocratici. Secondo: valorizzare sempre la collaborazione pubblico – privato, anzitutto il project finance. Terzo: orientare i fondi di garanzia al credito verso il settore, dove operano migliaia di Pmi, e prevedere adeguate regole di raccordo tra Legge fallimentare e requisiti di accesso alle gare pubbliche. La crisi pandemica ha drasticamente innalzato il numero di imprese ammesse a procedure di risanamento, ed escluderle dai contratti pubblici – allo stato inevitabile a causa del codice – significa condannarle al fallimento».

«A valle di una semplificazione del codice – conclude Esposito – automaticamente avremo un’Autorità più efficace. Va detto che anche l’Anac, al pari delle imprese, ha pagato i costi della complessità legislativa, e nonostante ciò ha svolto un’utile opera di vigilanza collaborativa, spesso risolutiva. Tuttavia, l’Anac non può sostituire gli uffici di procure, cui spetta il contrasto alla criminalità e la lotta alla corruzione. La prevenzione resta una fase basilare del ciclo della legalità, ma a condizione che venga liberata dal formalismo, del quale anche l’Anac è stata corresponsabile».

Foto Ansa

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