Non se ne può più. Se c’è una cosa che è chiara all’interno del panorama politico nazionale è che la gente è stufa. È stufa del chiacchiericcio che ogni giorno riempie le pagine dei giornali. È stufa di una politica che vive solo della delegittimazione continua e costante dell’avversario. È stufa di veder litigare forze politiche che, sulla carta, dovrebbero essere alleate. Va da sé che si guarda sempre con un po’ di scetticismo a chi lancia ricette più o meno felici per uscire dall’impasse del muro contro muro. A un osservatore esterno quindi, l’incontro promosso dall’Intergruppo Parlamentare per la Sussidiarietà dal titolo “Un patto per il futuro del Paese” potrebbe sembrare, al massimo, un’ottima trovata pubblicitaria in vista della campagna elettorale ormai imminente. Tante belle parole per illudere gli elettori che qualcosa è cambiato. È veramente così? Lo abbiamo chiesto ai diretti interessati.
NIENTE CHIACCHIERE: ECCO LE PROVE
«Altro che trovata pubblicitaria – risponde a bruciapelo Maurizio Lupi, responsabile territoriale di Forza Italia e promotore dell’Intergruppo -. L’appuntamento di agosto arriva al termine di un anno di lavoro intenso in cui ci siamo messi in evidenza sia attraverso i numerosi incontri organizzati grazie al contributo della segreteria scientifica curata dalla Fondazione della Sussidiarietà, ma anche sostenendo e, scusatemi ma mi sembra importante sottolinearlo, vincendo, alcune importanti battaglie». Ce ne può parlare? «Ne cito una per tutte anche perché mi sembra quella che più sintetizza la nostra attività di quest’anno: l’essere riusciti ad introdurre, all’interno del decreto sulla competitività, le deduzioni a favore delle organizzazioni non profit. La cosiddetta “+ dai – versi”. Si tratta di un importante passo avanti innanzitutto perché si inserisce il Terzo Settore fra i soggetti che contribuiscono alla competitività e allo sviluppo del Paese e poi perché, per la prima volta, questo ruolo fondamentale viene riconosciuto anche attraverso opportune misure fiscali. Insomma possiamo senz’altro dire che, finalmente, il principio di sussidiarietà non è più un principio astratto, ma è diventato un cardine del nostro sistema economico».
Insomma quello dell’Intergruppo, almeno sulla carta, sembra non essere il solito contenitore vuoto con una bella etichetta. Anche se quel “Patto per il futuro del Paese” a noi, inguaribili pragmatici, sa tanto di politically correct, una sorta di circonlocuzione verbale per dire e non dire. «Tutt’altro – incalza il diessino Pierluigi Bersani, un altro dei promotori dell’iniziativa -. In quest’anno abbiamo lavorato sperimentando sul piano pratico che sarebbe possibile un altro bipolarismo. Un bipolarismo più mite e consapevole capace di individuare comunque dei terreni di utilità nazionale, di bene comune sui quali poi sfidarsi reciprocamente e presentare le proprie ricette, i propri impegni. Sulla scorta di questa intuizione noi tentiamo di applicare questo metodo alla crisi italiana proponendo una piattaforma, la delimitazione di temi sui quali è necessario uno sforzo comune. Il senso di questo patto è il senso della delimitazione di un campo nel quale al concreto far muovere fattualmente le proposte di ciascuno e suscitare energie nel Paese perché a quei problemi venga data risposta».
Cosa c’è di concreto in questo lavoro? «Il nostro lavoro è molto concreto – risponde, forse un po’ stizzito, Bersani -. Noi parliamo di lotta alla rendita, di centralità della produzione. Di lotta alle rendite di posizione cioè a tutte quelle sacche di protezione e di rigidità che impediscono al Paese di muoversi fino ad arrivare a valorizzare il merito. Poi abbiamo un paletto che si chiama conoscenza, formazione, investimento in innovazione e ricerca. E poi abbiamo le politiche sociali attorno alle quali occorre organizzare i meccanismi di sussidiarietà con un ruolo essenziale del pubblico e della welfare society. È attorno a questi fondamentali paletti che si sviluppano le nostre proposte».
NON E’ UN PATTO DI GOVERNO
Questo Patto per il Paese cos’è, una sorta di unità nazionale? «No – risponde Enrico Letta, responsabile economico della Margherita anche lui promotore dell’Intergruppo -, non è né una forma di unità nazionale, né un patto di governo. Questo patto nasce dall’idea che veniamo da due legislature, una di centrodestra e una di centrosinistra, in cui si è governato in un contesto di scontro permanente senza nessuna volontà di intendersi neanche su temi fondamentali per il bene del Paese. Questo è stato vero per tutte e due le ultime legislature, senza distinzione. Oggi, secondo noi, finisce un decennio di, potremo dire, “guerra civile” e se ne deve necessariamente aprire un altro governato da un bipolarismo mite in grado di costruirea il futuro dell’Italia».
Cioè? «Secondo noi maggioranza e opposizione possono trovare un’intesa su dei valori condivisi e sulle cose da fare. Insomma, secondo noi è possibile un bipolarismo sano. Cioè un bipolarismo dove non ci sia confusione di ruoli. Chi sta al governo governa e chi sta all’opposizione sta all’opposizione, ma ci sono temi su cui è possibile trovare l’intesa e costruire insieme. Alcuni di questi temi verranno delineati e discussi nel corso del nostro incontro a Rimini».
Qualche esempio? «Direi, ad esempio il tema dell’energia o quello della demografia. Cioè il fatto che il nostro paese sta progressivamente invecchiando. Sono solo due esempi, ma servono per rendersi conto che le cose che diciamo sono molto conrete e non campate per aria. A noi non interessano gli inciuci, ma proporre un metodo di lavoro attorno a temi che ci accomunino».