La preghiera del mattino

Pasticci e guai (internazionali) di Pedro Sánchez

Di Lodovico Festa
04 Ottobre 2024
Le crisi diplomatiche con l'Argentina e il Messico sono una spia delle difficoltà del primo ministro spagnolo. Rassegna ragionata dal web
Il presidente spagnolo Pedro Sanchez (Ansa)
Il presidente spagnolo Pedro Sanchez (Ansa)

Sul Sussidiario Nicola Berti scrive: «Un pronipote eurosocialista di Craxi – il Premier spagnolo Pedro Sánchez – ha invece consentito che il leader catalano Carles Puigdemont rientrasse in Spagna, tenesse un breve comizio a Barcellona e tornasse in Belgio nonostante i mandati d’arresto della magistratura iberica, tuttora pendenti dopo sette anni dal fallito tentativo di golpe separatista in Catalogna. Una farsa tragica quella andata in scena giovedì: non solo per lo stato di diritto in Spagna, ma per la credibilità della democrazia nell’Ue in una fase storica molto complicata».

Per alcuni aspetti la Spagna viene oggi considerata tra gli Stati dell’Unione che se la cavano meglio: deficit e debito paiono sotto controllo, lo stato dell’occupazione non è brillante ma un ministro con la sapienza degli antichi comunisti come Yolanda Díaz – pur non essendo in grado perlopiù di far passare le sue leggi bocciate dai conservatori autonomisti/indipendentisti baschi e catalani che sostengono Sánchez ma non il suo programma – riesce a mantenere una sostanziale pace sociale e le crisi regionali non sono più esplosive come qualche anno fa. Però i guasti istituzionali che il governo Sánchez sta combinando sono evidenti, come ricorda Berti. Si consideri che le riunioni tra socialisti e indipendentisti conservatori catalani di Junts per tenere in piedi il governo si devono tenere in Svizzera. In qualche misura, sorprende come le istituzioni della Ue così occhiute con l’Ungheria di Viktor Orbán siano quasi indifferenti a certe disinvolte scelte istituzionali sancheziane. D’altra parte, con la crisi della Spd, i socialisti spagnoli sono essenziali per tener in piedi la pur ormai boccheggiante maggioranza “Ursula”. Detto questo, alcuni effetti particolarmente negativi che la politica del campo largo iberico produce (un campo tenuto insieme dall’idea di “raccattare qualsiasi cosa per evitare un governo di destra”) sono evidenti soprattutto nell’area più politica della politica: quella estera.

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Su Rai News Giuseppe Asta scrive: «L’offesa a Gomez, chiamata “corrotta” nonostante nessuna accusa sia stata confermata, ha aperto una crisi diplomatica tra Madrid e Buenos Aires. La Spagna ha richiamato il proprio ambasciatore dal Paese sudamericano, il ministro degli Esteri José Manuel Albares ha detto di aspettarsi le scuse di Milei: “Con il suo comportamento, Milei ha portato le relazioni tra Spagna e Argentina al punto più critico della storia recente”. Le scuse, però, non sono arrivate e, anzi, un portavoce di Milei ha detto alla tv argentina che le autorità spagnole dovrebbero ritrattare gli “insulti” rivolti al presidente. Oltre a questo episodio, a fare discutere c’è anche la decisione di Milei di non incontrare né il re Felipe né lo stesso Sánchez, infrangendo il protocollo diplomatico. Il leader di Vox, Santiago Abascal, ha replicato a muso duro: “I conflitti diplomatici si aprono quando si attacca la sovranità della Nazioni, non quando si fa menzione della presunta corruzione della moglie del presidente e, pertanto, del presidente. E ancora meno quando i tuoi ministri avevano prima chiamato drogato lo stesso Javier Milei, al quale vogliono ora mettere il bavaglio”. Anche il principale partito di opposizione spagnolo, il conservatore Partito Popolare, ieri aveva rifiutato di appoggiare la posizione di Sánchez e fonti del partito hanno affermato che il Primo ministro avrebbe dovuto fornire spiegazioni sul presunto caso di corruzione settimane fa: “Il suo silenzio genera dubbi interni, ma anche sfiducia all’estero”. Oggi una parziale correzione di rotta è arrivata dal responsabile delle relazioni istituzionali del partito, Esteban González Pons, che pur stigmatizzando Sánchez per voler “convertire sua moglie in una ragione di Stato”,  ha riconosciuto intervenendo alla radio che “il discorso di Milei di ieri è senza dubbio una intromissione nella politica nazionale” e censurato il fatto che “sia venuto in Spagna senza salutare il re, il governo e il Parlamento”. “Il capo della politica estera dell’Unione europea, Josep Borrell, ha dichiarato in un post su X che “gli attacchi contro i familiari dei leader politici non hanno posto nella nostra cultura”». 

Sánchez con il suo solito stile se l’era presa con il liberismo di Milei, che gli ha risposto per le rime accennando (poco elegantemente) alle accuse di corruzione alla moglie. Per un momento Madrid aveva pensato di sospendere le relazioni diplomatiche con Buenos Aires, poi ha soprasseduto.

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Su Huffington post es Pablo Montesinos scrive: «El presidente del Gobierno, Pedro Sánchez, ha pasado a la acción para intentar salvar su mayoría de investidura en el Congreso después de encadenar diferentes reveses en las últimas semanas. El líder del Ejecutivo ha encomendado a su ministro de la Presidencia, Justicia y Relaciones con las Cortes, Félix Bolaños, que se reúna en estas últimas horas con representantes de PNV y Junts con el fin de evitar su “transfuguismo” en las votaciones. Sin ir más lejos, los nacionalistas vascos se unieron este miércoles a PP y Vox para reclamar al Gobierno que reconociera a Edmundo González como presidente electo de Venezuela. Sus cinco votos fueron fundamentales para que esta iniciativa presentada por los populares lograra salir adelante en la Cámara Baja. Mientras, los de Puigdemont ya han adelantado que tumbarán la nueva senda de déficit presentada por el Gobierno, igual que hiciero el pasado mes de julio, un paso fundamental para poder aprobar los Presupuestos de 2025».

Sánchez ha mantenuto per lungo tempo ottimi rapporti con Nicolás Maduro, anche grazie alla presenza in Venezuela dell’ex premier socialista spagnolo José Luis Rodríguez Zapatero. Le ultime spericolate manipolazioni maduriane del voto venezuelano hanno costretto Madrid a correggere il proprio atteggiamento. Però, al fondo, Zapatero organizzando l’esilio di González (lo sfidante di Maduro battuto grazie alle citate manipolazioni), ha cercato di fare un piacere agli uomini al potere a Caracas. Ma, come è noto, il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. L’esule venezuelano arrivato in Spagna è stato riconosciuto come il presidente legittimo dal Parlamento con il voto non solo delle destre ma anche degli autonomisti/indipendentisti baschi e catalani conservatori, pur necessari a Sánchez. Da qui serie di tempeste diplomatiche tra Madrid e Caracas.

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Su SWI si scrive che «il governo spagnolo “non parteciperà” alla cerimonia di insediamento della presidente messicana Claudia Sheinbaum, la prima donna eletta alla guida del Paese, perché considera “inaccettabile” che non sia stato invitato il capo dello Stato, re Felipe VI. “Il governo di Spagna considera inaccettabile l’esclusione di S.M. il re Felipe VI alla cerimonia di investitura della presidente messicana Claudia Sheinbaum Pardo, il prossimo 1 ottobre a Città del Messico”, segnala un comunicato del ministero degli Esteri. “Per questo motivo il governo di Spagna ha deciso di non partecipare all’insediamento a nessun livello”, si aggiunge».

Un’altra crisi diplomatica è poi nata tra Madrid e la neoeletta presidente del Messico, che non ha voluto il re spagnolo alle cerimonie per il suo insediamento: “Prima deve chiedere scusa per le conquiste di Hernán Cortés nel Cinquecento” ha fatto Claudia Sheinbaum Pardo. Da qui un’ennesima crisi diplomatica. I socialisti spagnoli, anche per reggere la loro maggioranza che comprende una forte presenza di esponenti della sinistra radicale, si sono distinti per una politica estera spesso urticante: ha pesato molto tra le altre cose l’opera di quel cialtrone di Josep Borrell eletto nella Commissione europea “alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri”. E così il governo Sánchez è stato un momento ultrabellicista in Ucraina (anche per mettere in difficoltà Joe Biden), un altro momento pronto a isolare Israele, riconoscendo da subito uno Stato palestinese a prescindere dal ruolo che in questo “Stato” verrebbero a esercitare organizzazioni terroristiche come Hamas. Se sul piano nazionale una certa goffaggine della destra con gli incerti rapporti tra Ppe e Vox e il ruolo degli indipendentisti/autonomisti anche conservatori ma ostili alla destra centralista, consentono a Sánchez di galleggiare al potere, la mancanza di una seria politica estera ha cominciato a produrre guai proprio nell’area che i socialisti spagnoli consideravano terreno privilegiato della loro azione cioè il Sud America. L’ala iberica più atlantista, a lungo rappresentata da José María Aznar e non sempre prevalente tra i popolari, in questa situazione sta acquisendo qualche nuovo spazio.

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