Passaparola su Giussani
Dentro ci trovi tutto il Giussani che non c’è da nessun’altra parte. C’è il Giussani fiammeggiante, ironico, fulminante, irruento, persino tenero – di una tenerezza che non ha nessuna blandizia sentimentale ma che va subito al cuore, come uno schiaffo d’innamorato – in questo libro che non è un libro da leggere, ma da ascoltare. Perché c’è tanta oralità in quest’opera di Carmen Giussani che ha organizzato, contestualizzando quel minimo che non ostacola la narrazione, tanti episodi, aneddoti, testimonianze di persone che hanno visto, incrociato, parlato (magari tantissime volte, magari una volta sola) con don Luigi Giussani, il tornado di vita che non lasciava uguale a se stesso chiunque vi si imbattesse.
Centinaia, migliaia, centinaia di migliaia di ciellini sono diventati adulti nella fede leggendo Giussani e dedicando tempo alle opere nate dal suo carisma. Ma soprattutto centinaia, migliaia, centinaia di migliaia di ciellini sono diventati adulti nella fede incontrando Giussani, stando con lui, vedendolo parlare, chiedendogli un parere. E anche chi, per ventura o per questione anagrafica, non l’ha incrociato, l’ha conosciuto grazie a questa oralità, a questo racconto e a questo racconto di racconti su ciò che Giussani diceva a chi lo interpellava, un discorso che è passato di bocca in bocca, di vita in vita, come una lunga teoria di parole che, da un’esistenza all’altra è arrivata a tanti, prima centinaia, poi migliaia, poi centinaia di migliaia. Un passaparola, ecco.
Questo libro è un grande affresco di un pezzo di popolo cristiano che racconta se stesso, che si racconta in modo non banale, ma viscerale, intenso, come sono quei minuti, magari attimi, in cui ha potuto sperimentare l’incontro con questa personalità inaudita, vista, vissuta e restituita al lettore senza gli abbellimenti retorici della malinconia o del mito, ma solo così, così come si è presentata. Non è forse da sempre questa la forza del cristianesimo? Il passaparola sul “come sono andate effettivamente le cose”?
Perché la vita è triste, lo sapete. Come si racconta a un certo punto: «Autunno 1975. Intorno alle tre del pomeriggio. Milano. Entro in via Pagliano 10, per accedere all’auditorium del Pime. Sono una matricola di scienze politiche presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore. Ho appena compiuto diciannove anni. Mi trovo qui assieme a decine e decine di altri ragazzi per partecipare a un incontro di Comunione e Liberazione. Sono assorto nei miei pensieri quando, appena superato il cancello, sento strattonarmi il gomito da dietro. Non faccio in tempo a voltarmi che lo sconosciuto mi affianca. “Come ti chiami?”. “Luigi”. “Luigi, la vita è triste. Ma è meglio che sia triste, perché se non fosse triste sarebbe disperata”. Poi lo sconosciuto allunga il passo precedendomi nel salone dell’edificio dove di lì a poco si terrà l’assemblea degli universitari. Molti anni dopo, ho trovato qualcosa di quel primissimo incontro a tu per tu con Giussani nei versi di Rilke, annotati da Etty Hillesum nel suo diario: “E sentì stranamente uno straniero dire: io sono con te”. Luigi Amicone».
Noi non sappiamo chi era
Si farebbe un torto all’autrice e agli autori degli aneddoti se non si annotasse infine il continuo, potente e imperterrito rimando su cui convergono tutte le testimonianze. Perché tutte – da quella della sarta a quella della fisioterapista, da quella del divorziato a quella del seminarista, da quella del missionario a quella della giovane universitaria – arrivano a riconoscere che Giussani era un uomo diverso perché non calamitava a sé, ma verso ciò che sentiva come vero per la sua giornata. Lo dice bene Anna Riccardi: «Negli ultimi mesi di vita mi chiede di cantargli sempre Noi non sappiamo chi era. Allora gli chiedo perché, e lui: “Perché noi non finiremo mai di conoscere Cristo. Cristo è la realtà e la realtà è come un mare immenso di cui non si arriva mai a toccare il fondo».
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