Papa (Pdl): «D’Ambrosio? Di malagiustizia ci si ammala e a volte si muore»
Si sono sempre trovati su barricate opposte dal punto di vista lavorativo e delle idee. Eppure «Loris D’Ambrosio è stato uno dei più stimati rappresentanti della magistratura» dice a tempi.it Alfonso Papa (Pdl): «Ho sempre avuto una grande stima di lui. Devo dire che è diventato uno strano paese questo, nel quale si muore di crepacuore per distorsioni dell’attività investigativa». All’indomani della scomparsa del consigliere giuridico del presidente della Repubblica Loris D’Ambrosio, che ha ricoperto questo ruolo anche nel settennato di Ciampi, Papa conduce una riflessione più ampia su quello che accade alla giustizia italiana.
Papa, come ha conosciuto Loris D’Ambrosio? E che ricordo professionale conserva di lui?
L’ho conosciuto quando ho preso servizio al ministero della Giustizia nel 2001, lui era capogabinetto con l’allora ministro della Giustizia Piero Fassino, mentre io arrivai come vicario. Negli anni successivi ci fu un rapporto professionale e di grande stima, anche quando D’Ambrosio passò a lavorare con il presidente Ciampi e poi con Napolitano. Era una persona dotata di grande serietà e correttezza, e lo dico anche se non condividevo il suo pensiero e le sue posizioni politiche. Ha giocato un ruolo fondamentale alla Presidenza della Repubblica.
Cioè?
È stato uno dei protagonisti del dialogo tra magistratura e istituzioni. Era lui il soggetto istituzionale che preparava gli atti in materia di giustizia che poi il presidente firmava. Ha sempre rispettato il ruolo della magistratura e questo ha portato spesso a rapporti dialettici difficili tra di noi: ma è sempre stato un punto di riferimento in ambito giuridico. Mi ricordo le discussioni sulla normativa sulle rogatorie, sul falso in bilancio e sulle intercettazioni. La posizione di chiusura del Quirinale sulla riforma del sistema delle intercettazioni nasceva proprio dalla preparazione dei documenti curata con professionalità da D’Ambrosio e dalla sua volontà di difendere le prerogative della magistratura. Per questo è stato uno dei più stimati esponenti della magistratura.
Poi è arrivato lo scandalo delle intercettazioni delle telefonate con Mancino.
Devo dire che è diventato uno strano paese questo, nel quale si muore di crepacuore per distorsioni e deviazioni dell’attività investigativa. Voglio ricordare che in queste ultime settimane c’è stato un gioco al massacro che ha avuto come protagonisti il presidente e un ex ministro, Mancino: un gioco che sostanzialmente si è consumato però sulla pelle di un funzionario dello Stato come D’Ambrosio. Mi viene da riflettere su altri casi, che non hanno legami diretti con questa vicenda, eppure ci parlano dello stesso problema. Oggi abbiamo una persona sottoposta a custodia cautelare come l’ex assessore lombardo Antonio Simone, che continua a denunciare l’abuso della carcerazione preventiva, nonostante un quadro giudiziario ormai ben cristallizzato, usata solo per estorcergli delle confessioni. Io stesso nella mia lunga custodia cautelare ebbi modo di denunciare le pressioni subìte per confessare ai pm ruoli avuti da Silvio Berlusconi. E ora abbiamo avuto anche il consigliere giuridico della presidenza della Repubblica che è stato infangato sui media per delle intercettazioni illegittime, che non potevano essere effettuate e non dovevano essere divulgate.
Perché vede analogie tra queste vicende?
Sono figlie di un problema di emergenza democratica che nasce dalle disfunzioni giudiziarie. Non è normale che in questo paese si muoia nell’indifferenza dei media o con la loro partecipazione per l’uso distorto che si fa dell’attività di indagine. Ci auguriamo che veramente il presidente della Repubblica si renda conto di questo problema che tocca tutti i cittadini. Purtroppo di cattiva giustizia ci si ammala e a volte si muore. Non è normale che un servitore dello Stato sia massacrato così. Non è normale arrivare ad avere un sentimento letale per la propria salute solo perché intercettazioni che non avrebbero mai dovuto essere portate all’esterno dell’ufficio di un pm, diventano invece parte del dialogo mediatico al quale anche la magistratura prende parte. Tutto ciò mi pare il segnale della grande deriva delle istituzioni in Italia. Dobbiamo ricordare che ogni giorno c’è un morto nelle carceri. Perciò dobbiamo continuare a chiedere un messaggio del presidente Napolitano alle Camere per una riforma della Giustizia.
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