«Papa Francesco ci ha mostrato perché Dio voleva una Chiesa latinoamericana»

Di Emiliana Riverón
08 Giugno 2025
Intervista a Rodrigo Guerra López, segretario della Pontificia Commissione per l’America Latina al fianco del cardinale Prevost: «Bergoglio con la sua sensibilità argentina e ratzingeriana insieme ha cambiato la nostra comprensione della religiosità popolare»
Papa Francesco benedice una fedele in Plaza de Armas, Trujillo, Perù, 20 gennaio 2018 (foto Ansa)
Papa Francesco benedice una fedele in Plaza de Armas, Trujillo, Perù, 20 gennaio 2018 (foto Ansa)

Un incontro fuori dal comune ha segnato l’inizio di un’amicizia che è maturata e ha dato i suoi frutti nel tempo tra Jorge Mario Bergoglio e Rodrigo Guerra, attuale segretario della Pontificia Commissione per l’America Latina. Era il 2006 nella frenetica Buenos Aires. Guerra era appena entrato in una libreria della città quasi per caso, forse per la tipica visita d’obbligo di ogni turista, quando improvvisamente si imbatté in una copia del libro Católicos y políticos (Cattolici e politici), scritto da lui stesso un anno prima per il Celam. Questa volta prefato e pubblicato, però, da Bergoglio. Questo fatto apparentemente fortuito lo portò nell’ufficio dell’arcivescovo di Buenos Aires. Cercava una spiegazione dietro quella licenza, ma tra sorrisi e quel modo fraterno che aveva di spiegare le cose, Bergoglio dissipò immediatamente i suoi dubbi.

Quasi vent’anni dopo, Rodrigo Guerra López fa parte della cerchia dei suoi più stretti collaboratori. Era suo amico e discepolo. È stato tra coloro che hanno potuto dargli l’ultimo saluto nella residenza cardinalizia di Santa Marta lo scorso aprile. L’ho incontrato a Roma la mattina della Messa funebre, praticamente una settimana prima che il suo diretto superiore, il presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina, Robert Francis Prevost, assumesse la carica di nuovo papa Leone XIV. L’intervista si è svolta in uno dei saloni del Palazzo di San Callisto, situato in piazza Santa Maria nel vivace quartiere di Trastevere. Lì, sotto una cortina di luce primaverile proiettata dall’unica finestra verticale, Guerra ha raccontato dell’impatto di papa Francesco sulla Chiesa latinoamericana durante i suoi dodici anni di pontificato.

Proprio per le sue origini, papa Francesco ha prestato grande attenzione alla Chiesa di questa regione. Che cosa ha fatto che nessun altro pontefice aveva fatto prima di lui?

Per 500 anni la Chiesa dell’America Latina è stata considerata lo specchio di quella europea. Nelle storie della Chiesa, soprattutto quelle pubblicate in Spagna, dopo aver raccontato quella della Chiesa europea, veniva inserito un piccolo capitolo, come una sorta di appendice, dove quasi sempre si presentava l’Europa come evangelizzatrice dell’America Latina. In larga misura è vero, perché in effetti la corona spagnola e quella portoghese hanno indiscutibilmente evangelizzato. Tuttavia, dall’inizio della storia dell’America Latina è accaduto qualcosa che non è spiegabile con la logica della corona né dei popoli preispanici. È l’evento di Guadalupe… Il punto chiave è che l’evangelizzazione forte, incisiva e le conversioni di massa iniziano con l’irruzione di un evento, di una grazia, che non fa parte del progetto della corona, ma che corregge entrambi i mondi, sia quello preispanico, con le sue idolatrie e le sue prospettive limitate, sia quello spagnolo, spesso improntato alla logica dell’imposizione con la spada e della propria fede.

Rodrigo Guerra López, segretario della Pontificia Commissione per l’America Latina, incontra con sua moglie il neo eletto papa Leone XIV, per due anni suo diretto superiore in quando presidente della medesima Commissione
Rodrigo Guerra López, segretario della Pontificia Commissione per l’America Latina, incontra con sua moglie il neo eletto papa Leone XIV, per due anni suo diretto superiore in quando presidente della medesima Commissione

Questa correzione, curiosamente, non è condannatoria. Maria di Guadalupe tratta entrambe le culture con enorme tenerezza, assumendo i linguaggi, i codici, i simboli di ciascuna di esse e raccogliendo, ad esempio, la profonda religiosità preispanica e il desiderio di evangelizzazione della Spagna, generando una nuova sintesi. Questo ci permette di vedere come, fin dall’inizio, il progetto di Dio era che l’America Latina non fosse una Chiesa specchio, ma una Chiesa sorgente che, dalla sua originalità barocca e profondamente meticcia, inculturasse il Vangelo in un modo nuovo, non più puramente europeo, non più puramente preispanico, ma una fusione religiosa e culturale. Da questa matrice nasce Jorge Mario Bergoglio.

Il suo apprezzamento per i popoli si concretizza anche nel modo in cui ha abbracciato la diversità delle persone, integrandole e legittimandole nella sua missione evangelizzatrice. Come ne è stato testimone?

Ho vissuto l’affetto e l’attenzione che papa Francesco aveva per l’America Latina. Nella sua persona, nella sua formazione, nella sua sensibilità, nel suo linguaggio, nelle sue virtù e nei suoi limiti, ha proiettato la ricchezza della storia della Chiesa latinoamericana come insegnamento ed esempio per la Chiesa universale. Ci sono una serie di sfumature, che sono proposte nell’Evangelii gaudium (2013), che hanno a che fare con la sensibilità sociale, con l’apprezzamento di ciò che lei ha menzionato, di certe comunità emarginate o stigmatizzate in passato dalla Chiesa stessa, che ora sono state invitate a entrare in un abbraccio molto più ampio. Ma penso anche alla rivitalizzazione della religiosità popolare che per tanti anni è stata considerata, sia in America Latina che in altre parti del mondo, come una sorta di esperienza religiosa primitiva, suscettibile di essere catechizzata da una certa superiorità evangelizzatrice.

Papa Francesco tra la folla davanti alla Basilica della Vergine di Guadalupe, Città del Messico, 14 febbraio 2016 (foto Ansa)
Papa Francesco tra la folla davanti alla Basilica della Vergine di Guadalupe, Città del Messico, 14 febbraio 2016 (foto Ansa)

A una rinnovata comprensione della religiosità popolare, papa Francesco ha aggiunto un concetto profondo, ovvero che più che parlare di religiosità popolare, dobbiamo riconoscere la spiritualità popolare, la mistica popolare, cioè l’azione teologale di Dio nell’esperienza del popolo che celebra la fede secondo i codici e i simboli della propria cultura, nel nostro caso latinoamericana. Questo è molto evidente per noi latinoamericani. Provengo da una famiglia che non era praticante. Ho scoperto la fede a 16 anni e una delle cose che senza dubbio mi ha aiutato di più non è stato questo o quel ragionamento filosofico o teologico, ma il fatto di aver vissuto un pellegrinaggio in cammino per cinque anni dalla città di Puebla alla Basilica di Guadalupe, attraversando i vulcani per diversi giorni, non come nel Cammino di Santiago pieno di ostelli accoglienti e gustosi, ma nel modo più incredibilmente arduo, dormendo sul ciglio della strada, in montagna, in mezzo ai vulcani innevati. Quell’esperienza del pellegrino che si avvicina alla Madre per ritrovare la propria identità tra canti, rosari, confessioni, è la sorgente, la grande evangelizzazione che si riceveva a quel tempo, per iniziare a vivere la fede in modo vitale, esistenzialmente interessante. Oggi papa Francesco ha trasferito la propria esperienza di religiosità popolare nell’insegnamento della Chiesa universale, ad esempio, in modo molto forte.

Come si è proiettato il suo carisma di gesuita latinoamericano?

Attraverso il suo enorme apprezzamento per la missione e i missionari gesuiti che hanno evangelizzato il Cono Sud. Attraverso gli esercizi spirituali di sant’Ignazio e all’interno delle diverse tribù che compongono la Compagnia di Gesù, papa Francesco si è chiaramente collocato nella tradizione che proviene dal passato più remoto, che proviene dalle intuizioni di Kierkegaard, Guardini, De Lubac, Balthasar, Ratzinger. Non è mai stato un seguace, ad esempio, di Karl Rahner. Mai, mai. Proviene da De Lubac e, quindi, da un modo di interpretare la propria esperienza gesuitica in cui la grazia ha il primato, in cui il cristianesimo è l’incontro con una persona, in cui il moralismo è una grave deformazione nella Chiesa e una malattia patetica, ed è con questa comprensione della propria esperienza vocazionale e della propria identità gesuitica che è arrivato alla Sede di Pietro e ha cercato di aiutarci a continuare in modo creativo l’eredità di Benedetto XVI. Naturalmente, pieno di sensibilità latinoamericana, ma teologicamente molto radicato, molto vicino al modo in cui la scuola di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI è stata vissuta in America Latina. Papa Francesco si sentiva un discepolo di Benedetto XVI. E questa non era una formula di rito o una semplice metafora per ingraziarsi certe platee. In realtà, quando si esaminano i testi e i contesti dell’insegnamento di Jorge Mario Bergoglio come arcivescovo di Buenos Aires, si scopre un’enorme sintonia con il teologo tedesco, vissuta naturalmente all’interno delle coordinate dell’America Latina, che sono diverse rispetto a quelle europee, africane e asiatiche.

Preghiera davanti all’immagine della Vergine di Guadalupe, Città del Messico, 13 febbraio 2016 (foto Ansa)
Preghiera davanti all’immagine della Vergine di Guadalupe, Città del Messico, 13 febbraio 2016 (foto Ansa)

Quali sono, secondo lei, gli aspetti più rilevanti del suo messaggio?

L’eredità che ci ha lasciato papa Francesco è enorme, ma ne sintetizzerei due, molto importanti. Il primo è che bisogna passare attraverso una nuova assimilazione del Concilio Vaticano II. In altre parole, il cambiamento deve avvenire a partire dal rinnovamento e dalla riforma del cuore, con la propria conversione, e da lì deve sbocciare in una riforma pastorale e strutturale. Non a partire da idee personali, ma all’interno del percorso tracciato dal Concilio, in particolare dalla costituzione Lumen gentium. Qui sì, con grande umiltà, molte delle intuizioni dei padri conciliari contenute nel documento non sono state pienamente recepite, soprattutto per quanto riguarda la grazia del battesimo come grazia fondamentale… Tutto il resto sono differenziazioni ministeriali. Pertanto, non dovremmo vivere in una Chiesa che ancora privilegia le posizioni di potere al di sopra della grazia del battesimo, ma essere il popolo di Dio che cammina nella storia – definizione della Lumen gentium a proposito della Chiesa stessa. Vivere dinamicamente la fede cattolica dall’esperienza del popolo in movimento.

Lei si è definito suo amico e discepolo. Ci sono state parole di papa Francesco che l’hanno colpita particolarmente?

Ah, sì! Nel 2014 mi ha invitato come esperto al Sinodo sulla famiglia. Eravamo una decina, coordinati da Bruno Forte, ognuno con un ruolo diverso. A me era stato assegnato il tema della teologia morale. Non sono un teologo, ma mi hanno messo tra gli altri che erano lì. Inizia una guerra, gli stessi vescovi e cardinali rilasciano interviste e affondano il Sinodo. Allora, salgo in ascensore con papa Francesco e gli chiedo: «Santo Padre, ha visto cosa sta succedendo sui media?», ma lui mi sorride e basta. Io invece, con enorme imprudenza, gli ripeto: «Santo Padre, come può essere così tranquillo in mezzo a questo circo?». Lui si avvicina, mi prende per un braccio e mi dice: «Lei ha bisogno di pregare molto, vero?».

Messa sulla spiaggia di Copacabana, Brasile, a conclusione della 28esima Giornata mondiale della gioventù, 28 luglio 2013 (foto Ansa)
Messa sulla spiaggia di Copacabana, Brasile, a conclusione della 28esima Giornata mondiale della gioventù, 28 luglio 2013 (foto Ansa)

Quelle parole mi hanno cambiato la vita. Fino ad allora credevo che il modo di affrontare i problemi fosse attraverso una sorta di analisi strategica di gruppo. Il Papa conosceva la situazione molto meglio di me. Quello che stavo facendo era ridicolo, e lui mi ha corretto in un modo che mi ha colpito profondamente. Ricordo che presiedeva le sessioni con una pace e una serenità che derivavano dal fatto che lui credeva in Dio. Lui credeva che lo Spirito Santo agisca. La cosa più importante è scoprire cosa vuole Dio.

Se ci abituiamo a pensare in modo puramente mondano, finiremo per esaurirci e non vedremo la realtà di ciò che accade, l’essenziale, e cioè che, in mezzo a una grande complessità umana, Dio agisce. Dobbiamo lasciare che la fede guidi il nostro pensiero e il nostro cuore. Per questo bisogna pregare, permettendo a Dio di pregare in noi, di irrompere nella nostra vita. Questo è ciò che Benedetto XVI sottolinea tanto con la parola “avvenimento”. È la grande lezione: guardare la realtà con fede, la propria vita con fede, affidandoci totalmente al Signore attraverso la Vergine. E in questo modo cercare di non essere un ostacolo, ma uno strumento che Lui possa usare quanto vuole. Questo è l’essenziale.

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