«È una dittatura. I magistrati si muovono senza freno». A dirlo è Piero Ostellino, pensatore liberale e storico editorialista del Corriere della Sera. Per il giornalista, il problema della giustizia italiana ha radici profonde e va ben al di là dei rapporti conflittuali fra magistratura e politica: «I comportamenti di alcuni giudici mettono in discussione lo stato di diritto e la certezza del diritto».
A quali comportamenti si riferisce?
Ce ne sarebbero moltissimi. Mentre l’operato dei magistrati, secondo loro, è sostanzialmente insindacabile, alcuni di questi dipendenti pubblici si permettono di sollevare dubbi su qualsiasi professionista privato, arrivando a far mettere in discussione l’operato di stimati medici, primari, anche professori, da propri periti stipendiati dallo Stato. L’intervento da parte di un settore del pubblico impiego nella sfera privata della società civile è inammissibile.
Si riferisce all’accertamento delle condizioni fisiche di Berlusconi, predisposto dal tribunale di Milano? Secondo lei, è andato contro i diritti dei medici del San Raffaele?
Certo. Per accelerare un processo che riguarda Berlusconi, la magistratura ha costretto alcuni professionisti del San Raffaele alla violazione del codice deontologico. I medici avevano detto che il paziente Berlusconi non poteva presenziare all’udienza, ma i magistrati non ci hanno creduto. Hanno messo in imbarazzo dei professionisti, hanno sollevato dubbi sulla loro professionalità. L’azione dei magistrati non è andata contro Berlusconi, ma contro i diritti dei medici. Sono stati calpestati i diritti di stimati professionisti; messi in piazza i segreti professionali. C’è stata un’invasione della libertà professionale che ha colpito i medici, e che in futuro colpirà avvocati, giornalisti.
Ma se i magistrati violano i diritti perché nessuno li ferma?
Perché tutto ciò, prima ancora di esser sentito come legittimo, è legale. Una costituzione di stampo socialista ha equiparato alcuni funzionari dello stato al terzo potere di Montesquieu. Però il potere giudiziario, il terzo potere, non è il corpo dei magistrati, come è visto dalla nostra Costituzione, ma il corpo delle leggi. Sarebbe necessario ripristinare la dottrina giurisprudenziale. Far governare le leggi e non i magistrati.
Quella italiana, è un dato di fatto, non è «la magistratura migliore del mondo». Anche la nostra costituzione non è «la più bella del mondo»?
Queste sono affermazioni propagandistiche. Piero Calamandrei diceva che la nostra costituzione è «una rivoluzione promessa in cambio di una rivoluzione mancata». L’Italia si muove fra queste due sponde da più di sessant’anni. Fra la rivoluzione comunista mancata e la rivoluzione democratica promessa. La guerra civile non è stata tra fascismo e democratici, ma fra democratici e comunisti e la firma apposta alla Costituzione del 1946 è stata una firma apposta su un armistizio precario, non su un trattato di pace. Non è certo la migliore Costituzione possibile, ai giorni nostri.
Però non è solo a causa della Costituzione che i magistrati usano malamente i propri poteri.
Infatti ci sono anche le prassi demenziali della magistratura di questi ultimi anni. Il risultato combinato delle due cose è che in questo momento storico, in Italia, non c’è più stato di diritto, non c’è certezza di diritto. Se si prevede che il potere giudiziario coincida con gli impiegati dello Stato, stipendiati dai contribuenti, che accedano al lavoro tramite concorso, e i funzionari non sono i migliori del mondo, la conseguenza è una giustizia come questa, che non rispetta i diritti. In uno Stato civile – non in uno normale, ma civile – i magistrati non possono fare quello che fanno in Italia, dove gli è stato consentito di invadere spazi che non competono loro. In uno Stato civile è la legge che governa.
Fra tanti spazi invasi dalla magistratura, a far più discutere è quello della politica. Ai giudici italiani piace intromettersi in politica?
Sì, specialmente dove la condotta dei politici viene vista come eticamente inaccettabile. Ma già Benedetto Croce diceva che il terreno che mischia l’etica alla politica è il terreno degli imbecilli. Nel mondo in cui viviamo, nelle democrazie liberali, in politica, ci sono zone grigie dove esistono comportamenti moralmente accettabili e comportamenti che non lo sono. Ma questo cosa vuol dire? La condotta morale di un politico è sempre terreno di riserva gli elettori. Il giudizio politico spetta all’elettorato e non a un magistrato. Se quel parlamentare non è onorabile, perde la fiducia dei suoi elettori. Non viene votato. Quello che serve è un giudizio politico, non penale. Da noi invece apriamo inchiesta e buttiamo tutto sui giornali, pensando che si tratti di un’operazione di giustizia. Ma anche questa è inevitabilmente un’operazione politica. Un operazione politica sostenuta dal carattere morale.
Per fare luce su queste “zona grigie” della politica, la magistratura è intervenuta spesso. L’ultimo caso riguarda l’inchiesta della procura di Napoli su un episodio di trasformismo che ha coinvolto Silvio Berlusconi.
Il trasformismo è fisiologico in una democrazia parlamentare. In democrazia si tende a tutelare la libertà del singolo, della quale egli gode e abusa. Una delle libertà fondamentali per il parlamentare è quella dell’assenza di un mandato vincolante. Senatori e deputati sono liberi di cambiare casacca. Anche in questo caso ne devono rispondere agli elettori e non ai magistrati. Il trasformismo non è un male che vada perseguito penalmente.
Quali riforme può fare il parlamento, per modificare questa giustizia?
Bisogna ripristinare la giurisprudenza liberale. Il centrodestra ha governato per anni è ha compiuto l’errore grave di schierarsi in difesa di Berlusconi senza difendere il principio di diritto. Avrebbe invece dovuto togliere dal controllo totale dei magistrati sul terzo potere, difendere lo stato di diritto, per tutti i cittadini. Mi sembra tardi perché questa situazione irriformata, sui cui pesano errori di strategia politica, possa essere cambiata a breve.