Nuovi razzi su Tripoli, più di 37 mila sfollati
Articolo tratto dall’Osservatore Romano – Si aggrava l’escalation di violenza in Libia mentre continua ad aumentare il numero degli sfollati dall’inizio degli scontri armati a Tripoli e nei dintorni tra l’esercito del governo libico di Fayez al Sarraj e l’Esercito nazionale libico (Lna) di Khalifa Haftar. Questa mattina una serie di razzi sono stati lanciati contro un quartiere della periferia sud di Tripoli. Lo riferisce l’emittente televisiva locale 218 Tv, indicando che la zona colpita si trova tra Qasr Bin Ghashir — che ospita il centro di detenzione dove l’irruzione dei miliziani di Haftar avvenuta mercoledì scorso avrebbe provocato almeno due morti e una ventina di feriti — e l’aeroporto di Mitiga.
Nonostante siano stati colpiti gli obiettivi delle forze fedeli al primo ministro Fayez al Sarraj, al momento non è chiaro chi siano i responsabili, ma si ritiene possa trattarsi di un raid condotto dalle forze dell’Lna del generale Haftar. Intanto, il portavoce dell’Lna, Ahmed al Mismari, ha annunciato che le sue forze hanno preso il controllo della caserma di Salahuddin che si trova fuori Tarhuna, in direzione di Qasr bin Ghashir, nella periferia di Tripoli. L’ufficiale — in una conferenza stampa a Bengasi — ha aggiunto che i suoi caccia hanno bombardato «le caserme dei terroristi» a Tajura dove si trovano i depositi di munizioni e mezzi.
A destare preoccupazione è la condizione dei migranti intrappolati nei centri di detenzione intorno a Tripoli. È salito a 37.600 il numero degli sfollati dall’inizio degli scontri armati. Lo denuncia l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (Ocha), riferendo che l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) e l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) hanno evacuato il 24 aprile scorso 328 rifugiati e migranti dal centro di detenzione di Qasr Bin Ghashir, dopo il ferimento di 12 persone da parte di un gruppo armato. Oltre 3.300 rifugiati e migranti, tra cui circa 1.000 bambini, restano in centri situati in zone colpite dai combattimenti o in aree a rischio di conflitto armato.
Foto Ansa
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