Non stupisce la follia dei neri ma il vuoto triste, deluso dei “buoni”

Di Giuseppe Feyles
19 Ottobre 2011
Il direttore di Rete 4, alla notizia degli scontri romani di sabato, va a vedere di persona che cosa succede e guarda da vicino gli scheletri delle auto bruciate, i poliziotti, i neri e i "buoni". "Non è della rabbia dei duri che voglio parlare, ma del rancore dei tiepidi: il fatto è che qui non c’è nessuna proposta"

Sabato scorso, appena su Sky sono comparse le immagini degli scontri di piazza San Giovanni, ho detto a mia moglie: andiamo a vedere davvero, cioè dal vero. Sono le 15.30. A piedi, arriviamo al margine di via Cavour. Ad ogni strada laterale un blindato della polizia sigilla il tracciato del corteo. La gente passa lì dietro, rimbombano gli altoparlanti. I poliziotti in tenuta da sommossa hanno ciascuno il proprio gruppo sanguigno cucito sul petto. So di dare un dispiacere agli editorialisti del giorno dopo, ma non sono i figli del proletariato di pasoliniana memoria. Sono robusti, sbarbati, gentili, parlano tranquillamente con proprietà di linguaggio. Ci fanno passare ed eccoci dentro. Giornata di sole: tutti sfilano effettivamente tranquilli, niente a che vedere coi teppisti di cui dico dopo. Ma non è della rabbia dei duri che voglio parlare, ma del rancore dei tiepidi: il fatto è che qui non c’è nessuna proposta.

Sanno che non vogliono questo stato di cose ma non c’è idea di cosa metterci al posto. Anche nei “nostri” cortei degli anni Settanta il collante era l’essere “contro”, ma poi c’era, confuso fin che si vuole, il comunismo. A proposito, ecco delle bandiere rosse, falci e martelli, mi pare persino un Che Guevara. Ma sono in pochi, sono in coda al corteo, si vede plasticamente il loro esser fuori tempo. Un militante mi offre un giornale. Un ragazzo al cellulare dice che più in là si stanno menando. Un altoparlante da un camioncino invita a “stringere i cordoni”. In gergo significa serrare le fila, ma adesso è tutto calmo, non ce n’è proprio bisogno. Passa un giapponese con un gelato. Passano cinque giovani travestiti da yuppies e la gente li applaude. Tagliamo per le vie interne. A colle Oppio si sentono in lontananza i botti dei lacrimogeni, ma i vecchi del centro anziani, nel mezzo del parco, giocano a bocce tranquilli. Monti è un gran bel quartiere, case d’epoca. Sembra così bello perché non c’è neanche un’auto che passa, tutto il centro è isolato. Sfiliamo accanto a un gruppetto di sei ragazzi: sono sudati e hanno zaini in terra e caschi al fianco. Parlottano appoggiati a un’auto in sosta. Forse riposano. Sbuchiamo in via Merulana. In fondo si intravede san Giovanni. La folla sale in senso contrario, vengono dalla piazza, hanno provato ad arrivarci senza successo.

I bar son tutti aperti e i manifestanti consumano. Davanti ad una pizzeria un assembramento di persone. Penso a qualcosa di brutto. No. Si affollano lì perché c’è acceso uno schermo di Sky. Sono alla manifestazione, ma preferiscono vederla in tv. Le immagini mostrano gli scontri. Una donna, romana, elegante nella sua ricca trascuratezza, dice preoccupata che le sembra di aver visto il suo Roberto lì in mezzo al casino e che glielo aveva detto di stare attento. Sembra voglia dire che la prossima volta non ce lo porta più, alla manifestazione. Sempre più gente che risale, delusa, senza meta. Noi controcorrente, anche idealmente. Nello stesso pomeriggio monsignor Fisichella ha radunato in Vaticano migliaia di cattolici per il compito che gli ha affidato il Papa, rievangelizzare l’Europa. Avremmo dovuto esserci anche noi, poi un contrattempo ce l’ha impedito. Qui la folla sciama senza sapere dove. Ma bisognerà starci dentro a questo mondo e non conoscerlo attraverso i media, non parlargli attraverso i luoghi comuni. San Giovanni, come attraverso un potente teleobiettivo, appare un brulicare confuso di fumo, lampeggianti blu, folla. I teppisti coi caschi e le maschere assaltano in gruppi di cinquanta, la polizia arretra e quando sta per caricare per riprendere terreno altri giovani non incappucciati si siedono in mezzo alla strada con le mani alzate per bloccare le forze dell’ordine. Molti accenti napoletani. Nessuno straniero.

Andiamo via. Io mi ricordo il giorno in cui bruciarono l’Angelo Azzurro, a Torino, e un giovane morì. Il corteo passò vicino ai nostri banchetti in università con una rabbia minacciosa, la stessa che respiro questa sera. Quando il blindato dei carabinieri prende fuoco siamo in via Labicana. La colonna di fumo è densa e nera. Come in una scena di Full Metal Jacket percorriamo una strada di guerra. Cassonetti fumanti in mezzo alla strada, tre scheletri d’auto spolpati dalle fiamme, vetrine di banche sfondate. Sassi petardi odore acre. Sul cartellone del film di Boldi “Vacanze in India” hanno scritto “merda”. Negli spray Berlusconi quasi non c’è. Su un muro, freschissimo di vernice: “odio totale”. La gente intorno a me vaga come zombie. Tutti fotografano i segni della battaglia per portarsi a casa un souvenir della giornata. Più avanti i pompieri spengono l’incendio della palazzina del ministero della difesa. Il fuoco ha sfondato il tetto e dallo squarcio si vedono i due elicotteri della polizia che stazionano su San Giovanni.

Un giovanotto, potrebbe essere uno studente di ingegneria, o un praticante avvocato, dice ridacchiando “avemo bruciato roma”. Telefonini e videocamere sugli occhi e le orecchie di tutti. Sembra che del nuovo capitalismo globale i no global salvino solo il settore dei new media. Del resto, senza quello non si sarebbero convocati, non si sarebbero ritrovati nel casino del fuggi fuggi, non saprebbero neppure chi sia Trichet, se non glielo avesse detto il sistema che vorrebbero morto. La Madonnina non la vediamo, ma c’è troppo caos. Forse l’hanno pietosamente già tolta. La gente sfolla verso il circo Massimo. I manifestanti si mescolano coi turisti. Un ragazzo rasato a zero, una scarpa rotta e una canotta nera mi chiede se so dove sia la sede centrale dell’Unicredit. Ha ricevuto un sms. Mi pare di capire che ha appuntamento lì con altri. Figuriamoci se glielo dico. Una Chevrolet l’hanno bruciata, a una Smart lì accanto solo uova marce. Va’ a sapere. Un gruppetto di accento toscano mangia una piadina in piedi sul ciglio di via Cavour, come dopo una gita deludente. C’è tra loro anche un signore anziano. Che cosa li avrà spinti a tanta fatica? Che cosa portano nel cuore? Intorno, Roma non è stata per niente a ferro e fuoco. In piazza Venezia un centinaio di olandesi in calzoncini e cappellino sponsorizzato. A Trastevere i soliti banchetti dei cingalesi, i Suv nella corsia dei Taxi, il Tevere, magnifico, attorno all’isola Tiberina al tramonto. Sulla via del ritorno guido piano. Più che la follia distruttrice dei neri mi ha impressionato il vuoto triste e deluso dei “buoni”.  La devastazione più grande che ho visto è nello sguardo di troppi che ho incrociato, senza speranza, senza meta, con dentro solo il rancore.

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