Non era pedofilia. Le vite rovinate dei nonni Nevi che avevano diritto a incontrare la loro nipotina

Di Chiara Rizzo
26 Gennaio 2015
La Corte di Strasburgo ha condannato l'Italia per una vicenda di malagiustizia condotta il maniera paradossale dal Tribunale dei minori e dagli assistenti sociali

nonno-bambina-shutterstock_104068700Lo scorso 20 gennaio la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato il nostro Paese: l’Italia dovrà pagare 16 mila euro di risarcimento perché la giustizia ha violato l’articolo 8 della convenzione dei diritti umani, impedendo a due nonni di incontrare la propria nipotina per dodici anni. Tuttavia su questa vicenda nemmeno la Corte di Strasburgo ha potuto cancellare l’ingiustizia commessa. I nonni protagonisti del caso, infatti, non potranno mai più incontrare la nipote: «Sono morti entrambi tra settembre e dicembre 2014, piegati dalla sofferenza che avevano dovuto vivere per anni» spiega a tempi.it l’avvocato Michelangelo Massano di Torino, che ha difeso la coppia di anziani dal 2002, portando il loro ricorso fino alla Corte europea.

LA VICENDA. Questo incredibile caso di malagiustizia inizia a Bussoleno, un piccolo paese in provincia di Torino, dove hanno vissuto fino alla morte i due nonni, Paolo Nevi e Franca Manuello. La coppia aveva un figlio, D., che nel 1996 si sposò e che il 7 agosto 1997 ebbe una figlia, Carolina (nome di fantasia). Per i primi cinque anni della sua vita, Carolina abitò vicinissima ai nonni, che incontrava spesso e con i quali sviluppò un forte rapporto affettivo. Il 20 maggio 2002 la mamma di Carolina chiese la separazione dal marito. La data chiave è giugno 2002: in quel periodo la direttrice della scuola materna che Carolina frequentava, sospettando abusi sessuali sulla bimba, avanzò una denuncia contro D.
Così fu aperto un procedimento penale per violenza sessuale e l’1 agosto, la madre di Carolina, chiese al tribunale dei minori di Torino la sospensione della patria podestà e di impedire a D. di vedere la figlia. Il tribunale dei minori affidò la custodia della bimba ai nonni materni, consentendo alla madre di incontrarla liberamente e impedendo agli altri parentidi avvicinarla. Il 9 dicembre Paolo e Franca Nevi chiesero al tribunale dei minori di essere autorizzati a incontrare la nipote. Dopo un parere favorevole della procura, il 4 febbraio 2003 i servizi sociali incaricati dal tribunale aprirono una pratica, che prevedeva alcuni incontri con i Nevi, al fine di aiutarli a riprendere i rapporti con la nipote.

INCONTRI MAI AVVENUTI. «Per i tre anni successivi – racconta l’avvocato a tempi.it – i Nevi si sono incontrati regolarmente con gli psicologi e gli assistenti sociali, come veniva loro richiesto, senza però mai vedere la nipote». Malgrado i due nonni più volte avessero sollecitato il tribunale dei minori ad intervenire per fissare l’incontro con la bambina, accadde ben poco. Nel dicembre 2005 gli psicologi depositarono un rapporto nel quale sottolineavano la collaborazione dei due nonni, esprimendo un parere positivo per il loro incontro. Finalmente, quattro anni dopo l’avvio della vicenda, il 16 febbraio 2006, con un’ordinanza il tribunale dispose un incontro che sarebbe dovuto avvenire ogni 15 giorni alla presenza di assistenti sociali e psicologi. Annota la Corte di Strasburgo: «Risulta dal dossier che quegli incontri autorizzati dallo stesso tribunale in realtà non hanno mai avuto luogo».

IL PADRE INNOCENTE. A giugno del 2006 avvennero due colpi di scena. Il primo, in ordine di importanza: il 16 giugno, il padre di Carolina fu assolto con formula piena dal tribunale di Torino, «perché il fatto non sussiste». «Si tratta – spiega Massano – di una sentenza divenuta quasi da subito definitiva, perché all’epoca nemmeno l’accusa ha voluto presentare ricorso in appello». Tuttavia, pochi giorni prima di quest’assoluzione, era avvenuto l’altro colpo di scena: l’1 giugno la psicologa incaricata di seguire Carolina chiese al tribunale dei minori di sospendere ogni possibilità di incontro con i nonni paterni. Secondo la psicologa, Carolina avrebbe manifestato un sentimento d’angoscia all’idea di rivederli, associandoli alla figura del padre. Il 14 giugno, sollecitati dal tribunale dei minori, anche i servizi sociali depositarono una nuova relazione – esattamente contraria alla prima che loro stessi avevano steso – con cui chiesero di sospendere ogni possibile incontro. «Come fa la bambina a provare angoscia per un fatto mai avvenuto? È intorno a questo paradosso che si sviluppa l’ingiustizia ai danni dei nonni», commenta il legale.

«GARANTIRE I LEGAMI FAMILIARI». Nel 2007 i nonni hanno denunciato al tribunale dei minori tutte le gravi omissioni commesse dai servizi sociali. Il 27 giugno 2007 si è consumato il secondo paradosso di questa storia: il tribunale dei minori, da una parte, accogliendo la sentenza di definitiva assoluzione del padre, ha deciso di sospendere l’annullamento della patria podestà. Al tempo stesso, ha definitivamente proibito gli incontri tra nonni paterni e nipotina. «I successivi gradi di giudizio, appello e Cassazione, hanno poi confermato questa decisione. Non si sono capite cose elementari, che balzano agli occhi a chiunque. Dopo la Cassazione abbiamo deciso di presentare ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo» racconta Massano.
Il giudizio dei giudici di Strasburgo è durissimo verso la nostra magistratura minorile e verso i servizi sociali. Per la Corte «le autorità non hanno mai fatto gli sforzi necessari per salvaguardare i legami familiari, e non hanno agito con la diligenza richiesta. La Corte sottolinea al riguardo che sono dovuti trascorrere tre anni (2002-dicembre 2005) prima che il tribunale dei minori di Torino si pronunciasse sulla richiesta dei nonni di incontrare la nipote, e che la decisione dello stesso tribunale, che accordava loro il diritto di vedere la bimba, non è mai stata eseguita dai servizi sociali». Concludono i giudici di Strasburgo: «La rottura totale del rapporto ha portato a conseguenze molto gravi per la relazione tra i nonni e la nipote. Le autorità nazionali italiane non hanno compiuto gli sforzi adeguati e sufficienti a preservare il legame familiare e così hanno misconosciuto il diritto al rispetto della vita familiare garantito dall’articolo 8 della Convenzione dei diritti umani».

CORRISPONDENZA. Perché quella relazione in cui si sosteneva che Carolina non voleva vedere i nonni? «Non sappiamo cosa è accaduto in Carolina. È pure possibile che la bimba sia stata plagiata. Certamente sono stati commessi gravi errori, soprattutto da parte degli assistenti sociali e degli psicologi, mentre i giudici del tribunale dei minori si sono appiattiti solo sul secondo dossier negativo. Ho partecipato alla sofferenza dei Nevi, due persone speciali che si sono sacrificate per questa battaglia di giustizia. Il nonno, anche per lo stato ansioso causatogli da questa storia, si è ammalato di leucemia ed è morto, seguito poco tempo dalla moglie. C’è una cosa che mi ha colpito particolarmente in tutta questa vicenda. È la corrispondenza tra nonni e nipote, che ho avuto modo di leggere. Da quando venne consentito loro non hanno mai smesso di scriversi e Carolina non ha mai smesso di rispondere ai nonni. Non è assolutamente vero che non ci fossero legami tra loro, tutt’altro. Ma Carolina non ha mai più potuto vederli di persona, perché una sentenza dei giudici lo impediva».

Foto nonno con nipotina da Shutterstock

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1 commento

  1. Pascal

    Manca la parte più importante:

    “I nomi dei responsabili di questa ingiustizia sono stati omessi per timore di essere perseguitati a propria volta dai loro complici”

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