Nicaragua. Ortega confisca i beni all’università dei gesuiti

Di Paolo Manzo
20 Agosto 2023
Il dittatore accusa l'Uca di essere un covo di «terroristi», mettendo così a tacere l'ultimo baluardo di libertà nel paese. Chi protesta, finisce in prigione

Il dittatore del Nicaragua Daniel Ortega e sua moglie Rosario Murillo hanno confiscato i beni dell’Università Centroamericana di Managua, la Uca, uno dei più eminenti think tank di proprietà della Compagnia di Gesù. A loro giudizio l’Università sarebbe «un nido di criminali e terroristi». Si tratta dell’ennesimo attacco alla Chiesa cattolica, nuova tappa di una folle campagna per non lasciare una sola traccia di vita civile nel paese centroamericano.

Oggi i sacerdoti e i vescovi che denunciano il «parco tematico della repressione» che oggi è il Nicaragua sono messi a tacere a forza. Espulsi, privati della nazionalità e, se si rifiutano di piegarsi agli ordini di Ortega, incarcerati con accuse ridicole. Per “fake news” e “alto tradimento alla patria” monsignor Rolando Álvarez è stato condannato a 26 anni e 4 mesi di carcere. Per “terrorismo”, un anno fa le suore di Madre Teresa sono state espulse e costrette ad attraversare a piedi il confine con il Costa Rica.

La colpa, come per l’arcivescovo di Managua, monsignor Silvio Báez, padre Uriel Vallejos, padre Edwing Román e centinaia di altri religiosi, è di avere preso le difese degli studenti massacrati dalla dittatura nel 2018 (350 gli assassinati da paramilitari e polizia sandinista, anche se molte ong sostengono siano oltre 500), accogliendoli nelle loro chiese e offrendosi al regime come strumento di dialogo.

«Centro di terroristi»

Tre giorni fa, la polizia sandinista ha rimosso la rappresentazione del Cristo crocifisso dall’altare della Cappella Guadalupe dell’Uca di Managua. Un’immagine diventata subito il simbolo della tragedia che l’università dei gesuiti sta vivendo, avendo ricevuto l’ordine di trasferire tutti i propri beni nelle casse della dittatura. Lo stesso procedimento usato da Ortega per rubare le ambulanze della Croce Rossa, anch’essa espulsa dal paese quest’anno.

Il blitz di regime è stato preceduto dall’invio di una email alle 5.29 del mattino di Ferragosto con l’accusa penale di “terrorismo” e di “aver tradito la fiducia del popolo nicaraguense”. Sono state sospese tutte le attività accademiche e amministrative “fino a data da destinarsi”. Poco dopo, la polizia ha fatto irruzione, portandosi via anche il crocifisso.

Nell’accusa, firmata dalla giudice di regime Gloria María Saavedra Corrales, l’Uca è descritta «come centro di terrorismo che ha organizzato gruppi criminali». Oltre a ordinare il sequestro di tutti gli immobili, mobili e denaro, sia in valuta nazionale che estera, Saavedra Corrales ha anche bloccato i conti dell’ateneo fondato nel 1960 e che ogni anno forma oltre 8 mila giovani nicaraguensi.

Chi parla va in prigione

La coppia Ortega-Murillo ha iniziato la sua persecuzione contro i gesuiti nel 2018, dopo che il loro ateneo si era posizionato al fianco degli studenti universitari che nell’aprile di quell’anno si erano sollevati per protesta contro il regime. Una ribellione civile e pacifica che Ortega ha represso nel sangue.

Per Ernesto Medina, ex membro nel 2018 del Tavolo del dialogo mediato dalla Chiesa cattolica, l’espropriazione dell’Uca è «una tragedia perché rafforza l’instaurazione di una dittatura dinastica e brutale in Nicaragua dove ormai non c’è spazio per nessun tipo di istituzione, Chiesa compresa, che non sia totalmente sotto il controllo del regime». Difficile non concordare come Medina visto che l’Uca è il 27esimo ateneo messo fuori legge dal regime. Il risultato, inevitabile, è l’indottrinamento di stato dei 200 mila studenti che oggi frequentano le università in Nicaragua oltre all’impossibilità di formulare qualsiasi pensiero critico nei confronti del regime sandinista.

Gli oltre 300 dipendenti dell’Uca non ricevono lo stipendio da un mese (Ortega ha chiuso i conti ai gesuiti) ma non parlano per paura della repressione, sempre più implacabile e solo a condizione dell’anonimato. Uno di loro, pur sapendo di essere monitorato, oggi ha fatto sapere: «Non possiamo neanche sfogarci, perché chi apre la bocca va in prigione o è espulso dal paese».

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